Il pediatra che lo visita mi dice senza esitazione che visto che il petto, la bocca e le orecchie sono a posto, bisogna escludere un'infiammazione del tratto urinario.
"È un procedimento semplice e indolore, si infila una sonda su per il pene fino a prelevare urina incontaminata dalla vescica".
Indolore? A sentirlo così non mi sembra affatto indolore. Preferisco pensarci, quindi esco e lo allatto.
Mi siedo e apro Google, leggo infiniti articoli sull’infezione del tratto urinario nei bene e anche forum di genitori che ci sono passati e… “indolore 'sti cavoli!”, penso. Scopro un procedimento davvero indolore che consiste nell'attaccare un sacchetto di plastica intorno al pene e aspettare che il bimbo faccia pipì, per poi prelevarla con una siringa, metterla nel tubetto e analizzarla. È un procedimento più lungo perché bisogna aspettare che il bimbo faccia pipì e cambiare il sacchetto ogni 20 minuti perché resti incontaminato.
"Potete prelevare la pipì con il sacchetto invece che con la sonda?", chiedo al pediatra.
"SÌ, ma la sonda è più affidabile e il sacchetto fa male uguale perché si attacca alla pelle con adesivo. Con la sonda, il bimbo piange solo perché gli si tengono le gambe ferme e non vuole".
[Gli avrei voluto dire "Proviamolo prima su di te che hai un pepe come lui e se non fa male a te che sei grande e grosso e che sai razionalizzare il dolore, magari lo facciamo a mio figlio di due mesi"].
“No, preferisco il sacchetto, grazie”, gli rispondo.
"Ma non è affidabile, se il risultato è positivo bisogna comunque fare la sonda".
"Va bene, ma se è negativo non c'è bisogno della sonda. Procediamo con il sacchetto, grazie".
Il pediatra mi presenta a un'infermiera con un giudicante “Questa è la madre che non vuole la sonda”, seguito da uno sguardo irritato del tipo “queste nuove madri che pensano di saperne più di noi”.
Applicano il sacchetto, Oliver fa pipì quasi subito, prelevano la pipì, la analizzano: negativo. Nessun bisogno della sonda, il pediatra dice che a volte febbri alte capitano nei bebè senza che ci sia un’infezione, di tenerla monitorata e che probabilmente scenderà presto. Grazie a Google, abbiamo evitato un dolore inutile. Ringrazio e vado via.
Ma ciò che gli avrei voluto dire al pediatra è questo, in ordine:
- Avevo ragione io, na-na-na-na-na! No, non è vero, perché non è nel mio stile. inoltre è stato chiaro da come mi ha parlato dopo il risultato che lo sapeva anche lui.
- In quanto pediatra, il suo dovere è aiutare il paziente nel modo meno invasivo possibile: perché non ha considerato quell’opzione? Per fare più in fretta? Non lo accetto.
- Vengo qui perché un professionista aiuti mio figlio, non per essere giudicata come madre. Il commento all’infermiera era davvero fuori luogo. Noi genitori siamo giudicati in ogni momento di ogni giorno: sarebbe bello se in ambienti come gli ospedali dove siamo già più vulnerabili, non fosse così.
- Vorrei che i medici fossero onesti e smettano di dire cosa fa male e cosa no e soprattutto si dire ai genitori che “piange solo perché gli tengo le gambe”: è una frase che ho sentito troppo spesso e non va bene. Piange perché fa male. E poi: 1. Non è un’affermazione onesta perché ognuno ha una soglia del dolore diversa: lo può sapere solo il paziente. 2. I pazienti meritano di sapere la verità per potersi preparare: la preparazione mentale aiuta anche a gestire l’emozione che arriverà.
- Noi genitori “moderni“ spesso ne sappiamo molto. Prima di venire al pronto soccorso può darsi che leggiamo tutto il web e abbiamo un'idea piuttosto chiara di cosa aspettarci. Possiamo lavorare insieme, invece che uno contro l’altro.
Ps. Quando era bambino, Alex per due anni è entrato e uscito dagli ospedali e i medici non sapevano che cosa fosse: suo papà Jari ha studiato senza sosta e ha diagnosticato correttamente ciò che aveva. Usando enciclopedie in biblioteca (oggi con internet sarebbe saltato molto più veloce!). Un medico probabilmente non avrebbe dedicato così tanto tempo, non perché non voglia ma perché Alex era solo uno dei pazienti. Per Jari, invece, Alex era tutto.