Un esempio di come pratico l'empatia con i miei figli
A volte gli esempi pratici rimangono impressi più di tante parole teoriche.
È una mattina di dicembre del 2020. Dopo aver giocato per un’ora alle lettere con i bambini, mi siedo finalmente a computer e lascio i bimbi a riordinare le lettere. Emily non vuole aiutare e Oliver viene da me a lamentarsi.
Mi preme lavorare, ho bisogno di spazio. Già mentre nell'ultimo quarto d'ora in cui giocavo con loro stavo pensando al lavoro. Ho bisogno di mummy space. Mi irrito. Le prime parole che escono dalla mia bocca sono: “Emily, non è giusto che non aiuti *mai* a mettere in ordine”. “*La prossima volta* non giochi se poi fai sempre riordinare a Oliver”.
Mi mordo la lingua. Queste sono frasi dell’educazione tradizionale (esagerazioni e minacce) che ho imparato ad evitare perché non solo non educano a lungo temrine, ma peggiorano sempre la situazione: Emily ora è coricata sul tappeto a piangere.
Oggi, però, a differenza di anni fa, io la capisco. So che ha ragione. Ovviamente una frase così la ferisce, lei adora giocare con Oliver e io le dico che non potrà più farlo. Non so quando i genitori abbiano imparato a ferire i loro figli per ottenere ubbidienza. Ferire le persone, in generale, non dovrebbe mai essere un mezzo per un fine e non è questo che voglio insegnare ai miei figli.
Inoltre, quelle frasi sono disoneste intellettualmente, non è vero che Emily non riordina *mai*, l’ho detto per frustrazione. L’ho detto come dico “mi passi il sale”, perché per me da sempre è abitudine sentire frasi di questo tipo… tutti tendiamo ad educare come siamo stati educati.
Ma quando sono diventata madre, io ho deciso di scendere dalla ruota e da allora lavoro sodo per cambiare questa mentalità. Ormai quando sbaglio, lo riconosco immediatamente perché Oliver ed Emily me lo fanno notare immediatamente – quando i bambini non sono abituati a essere feriti, sono molto più sensibili alle ingiustizie. Emily mi sta dicendo come può che sono stata ingiusta. E ha ragione.
Faccio un respiro profondo, mi siedo al suo fianco e le dico: “Vieni, mettiamo in ordine insieme. Ho giocato anche io ed è giusto che anche io metta in ordine le lettere”.
Smette di piangere, si asciuga le lacrime con la maglietta e si unisce a me. Io metto via un paio lettere nella scatola, poi li bacio e torno a sedermi a computer, sicura che ora Oliver ed Emily sono tranquilli. Insieme, mettono via tutte le altre lettere e poi iniziano a fare un altro gioco.
Basta poco.
Basta davvero poco.
Basta davvero poco oggi.
Perché tutti gli anni in cui ho praticato l'empatia stanno finalmente dando i loro frutti. Non solo per il comportamento dei miei figli, ma soprattutto per il mio – sono direttamente proporzionali. Con ogni errore, imparo un po’ di più e rimedio un po’ più facilmente. Perché essere genitori non significa solo crescere i nostri figli, significa crescere noi stessi al loro fianco.
Roxana & Emma(11 mesi)
Io sto annaspando nelle sabbie mobili con il mio primogenito, quattro anni appena compiuti, molto sensibile ma che io definisco affettuosamente ‘Il cubo di rubik’, ovvero se qualcosa si discosta di un millimetro da quel che lui vorrebbe è l’Armageddon.
Da mesi ha iniziato a pretendere sempre la presenza di qualcuno (genitori o nonni) per fare qualunque cosa, se si esce dalla stanza si ha un minuto d’orologio di autonomia prima che inizi a chiamare con tono dapprima lamentoso e poi imperioso; si sveglia tutte le notti (tutte, non ne salta una) e viene a dormire con noi, cosa che abbiamo accettato perchè di fare discussioni infinite alle due del mattino con conseguente risveglio anche della secondogenita e incazzatura di tutti quanti non ne potevamo più. Noi cerchiamo di dargli più attenzione possibile, di evitare di alzare la voce quando gli parte l’embolo perché sappiamo che peggiora solo le cose e che la strategia migliore perche si tranquillizzi è abbracciarlo e nello stesso tempo vorremmo fargli capire che a volte bisogna aspettare e che trattare gli altri alla stregua camerieri che devono scattare ai suoi ordini non esiste proprio, ma la verità è che io inizio a non farcela più. Dormiamo male da mesi e mesi, per qualunque cavolata è una contrattazione che Nazioni Unite scansatevi proprio, quando mi alzo la mattina tempo tre secondi e inizia a chiamarmi urlando, fossero anche le cinque, e quando non siamo con i bambini siamo al lavoro in area CoVid (entrambi operatori sanitari). A me sembra che più che andare avanti con lui si vada indietro, che più cresca e più diventi impegnativo, quando sono con lui mi sento soffocare e mantenere l’empatia e non dare in escandescenze mi risulta davvero difficile.
Scusate lo sfogo.
Quando Nicole fa la prepotente del tipo: "perché non mi hai già lavato la tuta da ginnastica", io per un po' di volte le spiego che avevo altre cose da lavare e che nn esiste solo lei, usare altre cose, perché il mondo non gira sempre come vuole lei. Ogni tanto DECIDO di mandarla al diavolo pesantemente e poi le spiego: "se non ti mando a cagare io ti ci manderà Matteo, perché è troppo complicato vivere con te". Preferisco ferirla io e farla riflettere, prima che lo faccia in modo definitivo una persona esterna a cui lei tiene molto. Che ne pensi? Lo faccio con il contagocce, ma ogni tanto scelgo anche questo...
Per il mandarla a cagare volutamente (che mi ha fatta sorridere), credo sia molto sano esprimere le proprie emozioni e rendere i figli partecipi di ciò che ci dà fastidio del loro comportamento. Nella mia vita, però, ho imparato ad "evitare i triangoli" perché non li apprezzo mai: se parlo, parlo per me. Se esprimo una mia emozione, sottolineo che è mia e non metto in mezzo altri. Ogni relazione è diversa, quello che dà fastidio a te, magari Matteo ha imparato a passarci sopra…
Che ne dici?
Ringrazio di cuore anche te e la comunità che sta crescendo attorno alla tua persona e missione. Perché lasciatelo dire,la tua é una missione! Educare (nel miglior modo) i propri figli per un mondo migliore
Grazie perché anch’io provo ogni giorno col mio bambino di tre anni a mettere in pratica i tuoi consigli. È molto difficile perché mi rendo conto di avere poca pazienza, però mi sto impegnando. forse dovrei mettere ancora più impegno ma, come dici spesso tu, devo darmi una pacca sulla spalla perché sono mesi che non urlo più e già questo mi sembra un buon traguardo. È davvero difficile eliminare dalla nostra mente o meglio modificare nella nostra mente quello che abbiamo assimilato come giusto per quarant’anni. Ancora grazie 😊