Preferiti dei bambini

12. I nostri dietro le quinte del COVID in Nuova Zelanda e… dove andiamo da qui?

Lo ammetto. Ho registrato questo episodio più per me che per voi.

27 ottobre 2020·
20 min
Perché avevo bisogno di dire alcune cose a voce alta. In questo episodio ti racconto le nostre prime esperienze con il COVID in Asia a gennaio 2020, come abbiamo vissuto in stato di incertezza da allora, come e perché abbiamo scelto la Nuova Zelanda per fermarci "un paio di mesi aspettando che passi il COVID", quanto ci sentiamo privilegiati e allo stesso bloccati e che cosa vogliamo/possiamo/dobbiamo fare dopo. Spoiler: siamo davvero combattuti tra cuore e mente, se vuoi offrirci i tuoi pensieri scrivici a carlotta@lateladicarlotta.com.      

Nel prossimo episodio, a grande richiesta, parliamo di come gestire il dolore dei nostri figli e di come affrontare il tema della morte con i bambini piccoli.

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benvenuti a un nuovo episodio di educare con calma ce l'ho fatta. Sto registrando è ufficiale. Avrete forse notato che venerdì non è uscito un nuovo episodio? Perché dovete sapere che ho lavorato talmente tanto per finire di lanciare il mio nuovo corso, che non ho avuto tempo di registrare nulla in anticipo per il podcast e quindi è praticamente successo quello che non volevo assolutamente che succedesse, um quello che avevo giurato e spergiurato a me stessa che non sarebbe mai successo. Ovvero sono arrivata al fatidico venerdì senza un episodio pronto, perché se non lo sapete, vi racconto che di solito, quando si ha un podcast si hanno vari episodi registrati in anticipo per varie settimane. Per farvi un esempio, le volte che mi hanno intervistata per altri podcast l'episodio che avevamo registrato usciva poi un mese dopo la registrazione. Ecco, quella è gente in gamba. Quella è gente che sa cosa fa e quello è il modo professionale di avere un podcast. Ed è anche il modo che funziona meglio tra l'altro perché non c'è lo stress ogni settimana di trovare qualcosa di interessante di cui parlare. Ecco, ci sono queste persone preparate e poi ci sono io con il mio modo tutto unico di avere un podcast che è più è, più non so come definirlo, è più spontaneo. Ecco, forse diciamo spontaneo, per rimanere sul positivo. Certo, ho sempre una scaletta di argomenti che voglio trattare, ma io funziono molto di pancia. Non ce la faccio a decidere di parlare di una cosa che non mi ispira. Quando mi siedo davanti al microfono è più forte di me. E quindi anche ora, anche in questo momento vado di pancia e ho deciso di raccontarvi um, alcuni pensieri e piccole preoccupazioni che ormai abitano la mia mente da qualche mese, um, e che forse non si apprezzano attraverso Instagram e Facebook, ma ci hanno fatto davvero vivere grandissima incertezza nonostante siamo in un paese, la Nuova Zelanda, in cui il covid non esiste più e tra l'altro è per quello che ci va, vedete tutti senza mascherine nelle storie mi chiedete spessissimo, ma non c'è l'obbligo della mascherina. Ma perché non avete le mascherine? Oddio, che è strano vedervi tutti senza mascherina. Eh no, qui non c'è l'obbligo della mascherina perché non c'è il covid lo hanno debellato proprio all'inizio. Era aprile ed è da aprile che facciamo praticamente vita normale. Quindi, um, ho deciso di raccontarvi un pochino in questo episodio come siamo finiti in Nuova Zelanda, visto che me lo chiedete spesso e e perché siamo finiti qui in Nuova Zelanda? Perché effettivamente, um abbiamo un po' vinto la lotteria con la decisione di venire qui in questo momento storico. Ma ovviamente non potremo restare qui ancora molto a lungo per questione di visti e altri motivi che ora vi racconto e boh, questa questa decisione di prendere, lasciare partire, andare dove andare ci sta scombussolando un po'. Non è tutto così semplice come possa sembrare Um se mi state ascoltando boh, magari avete qualche suggerimento o qualche consiglio su tutta questa situazione assurda? Dunque da dove inizio? Um iniziamo dall'inizio um, se avete seguito un po' la nostra storia, saprete che nel giugno del mille e due del duemila e diciannove siamo partiti per un viaggio intorno al mondo di due anni. A metà gennaio del duemila e venti abbiamo lasciato il Vietnam e il giorno stesso che noi eravamo in aeroporto diretti in Malesia. C'è stato il primo caso di covid in Vietnam. E proprio l'aeroporto tra l'altro dove eravamo noi, era il sedici gennaio non me lo scorderò mai ed è allora che per noi è iniziato questo momento storico del covid, un po' prima dell'europa perché in Asia l'ondata è arrivata prima. Ovviamente il mese che abbiamo vissuto a peng, in Malesia, è stato un po' surreale. Immaginatevi che eravamo in una città la cui popolazione è metà cinese ed eravamo nel mezzo del capodanno cinese. Il capodanno cinese è un evento in cui c'è un vero e proprio esodo del popolo cinese che ritorna a casa per le feste. Ma non basta. Non solo questo, perché nello stesso periodo a Peng e in altre città del mondo c'è anche il TM, che è un festival indu, quindi veramente tantissimi eventi, tantissimi assembramenti. E ricordo che da un giorno all'altro um tutti, ma proprio tutti hanno iniziato a mettersi la mascherina, cioè il giorno prima nessuno ce l'aveva e il giorno dopo era raro vedere una persona senza e tra l'altro nessuna farmacia in città aveva il gel disinfettante per le mani, era finito dappertutto. Quindi all'inizio aman-, apec sembrava tutto tranquillo e poi da un giorno all'altro è scoppiata questa questa consapevolezza. Ecco quindi abbiamo ovviamente drizzato le antenne abbiamo immediatamente riniziato a mettere le nostre mascherine e dico ho riiniziato perché noi le mettevamo già da novembre, perché a novembre eravamo a Bangkok, in Thailandia, e a dicembre ad Hanoi, in Vietnam, ed entrambe queste città hanno livelli di inquinamento altissimi. E quindi ci eravamo già abituati a mettere le mascherine anche a quaranta gradi sotto il sole. Ecco, so quaranta gradi all'ombra, ma vabbè, quello è un altro discorso. Okay, Quindi siamo a Peng. Finisce il nostro mese in Malesia e andiamo a Bali, che in confronto alla Malesia è un paradiso mascherato. Nessuno era preoccupato, nessuno faceva attenzione. Nessuno sembrava nemmeno sapere dell'esistenza del virus. Nessuno tranne il governo, perché poco dopo il nostro arrivo siamo venuti a sapere che nascondevano i casi per non affossare l'economia. E quando l'abbiamo scoperto, Alex si è messo a fare moltissima ricerca per capire se ci fosse un posto in Asia dove potessimo andare, che ci avrebbe dato un senso di sicurezza. Avevamo già parecchi mesi programmati fino a novembre del Duemila e venti. Ah, ecco, fino ad ora, praticamente. E quindi abbiamo dovuto prendere una decisione abbastanza velocemente. Abbiamo deciso di cancellare il Taiwan, il Giappone, la Corea del sud e l'australia, per cui appunto avevamo già tutti i voli e gli alloggi prenotati. Per fortuna era presto, quindi ci hanno rimborsato tutto e inizialmente abbiamo pensato di tornare in Europa, ovvero di tornare a casa. Ma pochi giorni dopo sono arrivate notizie dei primi casi anche in Italia, e a inizio marzo era veramente chiaro che la situazione in Europa non era migliore dei paesi asiatici che avevamo scartato. E ci siamo allora chiesti qual è un paese in questa parte di mondo che gestirà bene la situazione? Qual è un paese che ci permetterà di stare fermi e tranquilli per un paio di mesi e poi riniziare a viaggiare? La risposta al rullo di tamburi dopo mille ricerche, ovviamente è stata la Nuova Zelanda. Ed era destino tra l'altro, perché davvero mi sembra che la vita dovesse portarci qui, perché sono successe una serie di cose che si sono incastrate tutte come i pezzi di un puzzle. Prima di tutto l'airbnb che Alex aveva già trovato um e che avremmo prenotato per questo dicembre perché saremmo comunque andati in Nuova Zelanda dopo l'australia era ancora disponibile, cosa che di solito è rarissima così all'ultimo minuto, quindi quella è stata la prima fortuna. Poi, proprio perché a Bali l'ignoranza generale non ci faceva sentire sicuri, abbiamo deciso di lasciare Bali un po' prima, anche se significava perdere una settimana circa di Airbnb e quindi anche i soldi, ovviamente. E siamo arrivati in Nuova Zelanda cinque giorni prima del lockdown, cioè cinque giorni dopo la Nuova Zelanda non sarebbe più stata un'opzione per noi e per nessun altro, perché ancora oggi il paese è chiuso, nessuno che non sia kiwi può entrare e come se non bastasse, ci hanno allungato il visto automaticamente a noi e a tutti i visitatori. Um quindi da tre mesi ce l'hanno allungato a sei mesi e poi da settembre ce lo hanno allungato di altri cinque mesi. Quindi teoricamente potremmo restare qui fino a fine febbraio del duemila e ventuno e niente che posso dirvi. Siamo stati davvero fortunati perché qui, come vi dicevo, si fa vita normale e anzi, se devo essere sincera, è incredibile quanto la gente non sappia davvero, davvero quanto sia dura la situazione in Europa. Um la Nuova Zelanda al momento è una piccola bolla di normalità e non c'è giorno che non ci sentiamo davvero privilegiati di essere qui. Ma se da un lato avevamo ragione, ovvero la Nuova Zelanda, con la sua meravigliosa NDA, hanno gestito la situazione davvero benissimo. È un paese piccolo, poca densità, eccetera, eccetera. E quindi con un lockdown di un mese e mezzo hanno debellato il virus completamente dall'altro lato. Siamo stati troppo ottimisti perché avevamo sperato di restare un paio di mesi e poi continuare a viaggiare. Invece siamo qui da oltre otto mesi ed è chiaro che non solo non potremmo continuare a viaggiare, ma anche che questa situazione mondiale è ben più grave di quanto chiunque avesse potuto anticipare. E la verità, Mhm, La vera, vera, vera, vera verità è che ci sentiamo bloccati nonostante la libertà, nonostante la normalità, nonostante il privilegio, ci sentiamo bloccati come come se la vita vera fosse in pausa. Ecco, non so spiegarlo, è una sensazione. Avete mai una sensazione di stasi, di quando sembra di essere in un limbo? Magari sì, magari lo state vivendo anche voi proprio adesso, per motivi diversi, ma ci sentiamo proprio come se non stessimo vivendo davvero, ma come se stessimo solo aspettando che inizi il prossimo capitolo. Ma questo capitolo non inizia mai, perché La verità è che qui in Nuova Zelanda per noi questo capitolo non può iniziare. La Nuova Zelanda non è casa nostra, non è il nostro paese. Il visto non è così facile da allungare, a meno che non lo allunghi il governo e molto probabilmente non lo allungheranno più oltre. Febbraio. Eh, certo, è un paese che sceglieremo in un batter d'occhio, perché la qualità della vita è davvero ottima. Ma no, non senza la nostra famiglia. Non così, non con i bimbi che crescono lontani dai nonni, lontani dalla zia. Persone che che che ci mancano da morire e che, anche volendo, qui non possono raggiungerci perché il Paese è chiuso e rimarrà chiuso ancora a lungo. E quindi la verità è che anche se questo paese è meraviglioso, a cui si respira il lusso della normalità, noi abbiamo voglia di tornare. Abbiamo voglia di vedere i nonni, abbiamo voglia di vedere mia sorella, abbiamo voglia di essere vicini. Se ci fosse qualche problema, abbiamo voglia di iniziare a capire qual è il prossimo capitolo della nostra vita e per quanto qui sia bello l'incertezza che abbiamo vissuto negli ultimi dieci mesi o nove mesi No. Dieci dieci mesi è stata davvero grande, davvero stressante. A parte tutte le difficoltà del dover cancellare piani e fare rifare, prendere, disfare da da gennaio a parte tutto quello. E però proprio qua, in Nuova Zelanda, fino al giorno stesso in cui hanno allungato il visto a tutti i visitatori, non sapevamo nemmeno se ci avrebbero permesso di restare. Non potevamo nemmeno comunicare con l'ufficio immigrazioni perché avevano tolto le telefonate e niente eravamo tagliati fuori addirittura per un giorno o due. Non ricordo a settembre, proprio per un ritardo degli uffici che sono oberati. Ovviamente siamo rimasti senza un visto, che è comunque una preoccupazione. Perché rimanere illegale li illegalmente in un paese può uno far sì che ci neghino l'accesso ad altri paesi in futuro e due significa che possono arrivare domani e dirci Ehi, tra x giorni dovete tornarne nel vostro paese. Insomma, a fine settembre abbiamo deciso che eravamo stufi di questa incertezza e di non avere la decisione del nostro futuro, anche se solo immediato, nelle nostre mani. E quindi abbiamo deciso di tornare in Europa a dicembre e potrà sembrare buffo, ma proprio nei giorni in cui abbiamo preso questa decisione, Alex ha letto una frase di Tim Ferris che dice La maggior parte delle persone preferisce l'infelicità all'incertezza. Che cosa significa? Significa che la maggior parte delle persone sceglie una soluzione che li rende potenzialmente meno felici, a patto di non vivere nell'incertezza. E questo allora mi ha fatto sorridere perché in un certo senso è proprio quello che abbiamo fatto noi con la decisione di tornare abbiamo scelto di abbandonare questo paradiso, questa rarissima bolla di normalità nel mondo. Per cosa? Proprio per un filo di certezza, la certezza di avere un programma, la certezza di tornare in un continente che sappiamo che non ci sbatterà fuori domani la certezza di iniziare a scrivere il capitolo successivo. E poi vabbè, ovviamente la certezza di abbracciare i nostri cari, ecco, e poi ovviamente, cos'è successo. È successo che già solo a distanza di un mese dalla decisione di tornare, quella certezza è svanita di nuovo. La situazione è peggiorata, com'era prevedibile, ma uno ci spera sempre che non sia così. Continuano ad aumentare le restrizioni. Ora l'italia parla di un altro lockdown a Natale La Spagna è in piena crisi, si parla addirittura di fine della democrazia, cioè siamo veramente ad alti livelli. Poi stanno cancellando voli e tragitti a destra e a manca. E poi, ovviamente c'è anche il fattore che anche se arrivassimo per poter fare Natale dopo due settimane di quarantena, è possibile che non potremmo nemmeno abbracciare la nostra famiglia natale, quindi saremmo vicinissimi ma comunque lontanissimi. E poi vabbè, c'è anche da dire che tutta la nostra famiglia vive sparsa tra Italia, Spagna, Belgio e Finlandia. E adesso ho tantissime amiche non spagnole che vivono a Marbella, che ora non possono raggiungere la loro famiglia nei loro paesi e e quindi insomma, mi chiedo un po' sarà la stessa cosa per noi. E in più ammetto che mi scrivete almeno in tre quattro al giorno dicendomi di stare qui in Nuova Zelanda il più lungo possibile perché la situazione lì è davvero dura, soprattutto per famiglie con bambini. Anche perché una volta che usciamo da questa bolla non possiamo più rientrarci e quindi niente ci ritroviamo nell'incertezza a dovere o volere riconsiderare tutto, anche se in realtà non vogliamo. Anche se in realtà io vorrei lasciare tutto com'è e prendere un volo e venire a casa. E so che chiunque, in Italia e in Europa pagherebbe per essere qui in Nuova Zelanda in questo momento. Ma anche se l'erba del vicino sembra sempre più verde, anche l'altro lato della medaglia è faticoso. È faticoso leggere ancora venticinque settembre sul nostro visto ufficiale, perché ci è arrivato. So, ci è arrivato solo un rinnovo temporale, quindi non sappiamo se domani ci arriverà una mail che ci dice che dobbiamo tornare nel nostro paese. È faticoso vivere questa finta normalità di scuola e lavoro come se niente fosse, come se fosse vita normale, circondati da persone che vivono la loro vita normale. E invece noi siamo qui, senza amici, senza famiglia, lontani da tutto, e sta diventando faticoso gestire queste emozioni. E poi, ovviamente è difficile accettare il pensiero che non possiamo vedere la nostra famiglia senza perdere questo privilegio di normalità e sicurezza. E ora ammetto che i mesi cominciano a farsi sentire. Abbiamo visto mia madre a febbraio, ma non vediamo mio padre e mia sorella da oltre un anno e cominciamo tutti a patirlo, compresi i bambini. Poi vabbè certo mhm, riconosco che tutti questi sono problemi del primo mondo come li chiamo io, nel senso che non sono problemi, soprattutto considerato quello che state vivendo in Europa l'incertezza mista anche alla preoccupazione di una minaccia invisibile. Ma personalmente, nella mia vita ho deciso di accettare che c'è sempre qualcuno che soffre più di me e io personalmente non lo dimentico mai. È una cosa che è sempre con me questa certezza che c'è sempre qualcuno che soffre più di me. Ma ho capito che dare valore a quelle che sono le mie difficoltà, per quanto piccole, per quanto passeggere, senza sentirmi in colpa, non sia un'offesa a chi soffre di più, bensì sia un modo sano di prendere coscienza delle mie emozioni e di affrontarle con con accoglienza. Credo che sia sano dare valore alle proprie difficoltà senza paragonarsi agli altri, o sentirsi in torto o in colpa. E penso che faccia parte dello sviluppare una relazione sana con se stessi. Quindi no, non mi vergogno a dire che nonostante io sappia che siamo in una situazione estremamente privilegiata nel mondo, sto facendo fatica ad apprezzarla. Um, sto facendo fatica ad apprezzarla tanto quanto vorrei tanto quanto dovrei e prendere questa decisione di tornare quando tornare, dove tornare, dove andare? Si sta rivelando veramente faticoso, Mi sta facendo fare fatica. Il mio cuore mi dice di tornare nonostante tutto mi dice di non cambiare il volo e tornare a casa. La mia mente però mi dice di restare il più a lungo possibile. Mi dice di continuare a regalare ai bambini questa normalità finché ci è permesso, perché il mondo fuori di qui ormai tanto normale non è. E quindi chi ascolto, chi si ascolta il cuore o la mente? Boh, voi se foste nella mia situazione, chi ascolterete, che cosa fareste? E niente. Mi sono seduta davanti al microfono con questa necessità di raccontarvi la mia verità, perché non sono una persona che ama fingere o nascondere le emozioni, ma ultimamente non ero ancora riuscita a documentare tutte queste emozioni degli ultimi mesi e magari avevo proprio solo bisogno di dire tutto questo ad alta voce anche a me stessa. Magari. E se avete voglia di raccontarmi che cosa fareste voi nella mia situazione o anche solo di raccontarmi la vostra esperienza, mi piacerebbe molto e potete scrivermi a Carlotta chiocciola la tela di carlotta punto com oppure, come sempre mi trovate su Instagram e Facebook a la tela di Carlotta blog e niente vi ringrazio, vi ringrazio per la vostra pazienza per avermi ascoltata, per avermi accolta e vi auguro una buona serata. Una buona giornata o una buona notte a seconda di dove siete, nel mondo. Ci vediamo venerdì. Ciao. Ciao.
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