benvenute e benvenuti a un nuovo episodio di educare con calma. Oggi parliamo di bambini che spingono ma possiamo sostituire la parola, spingono con qualsiasi comportamento che per noi genitori è scomodo. Ricevo davvero tantissimi messaggi di genitori che mi dicono che i loro figli spingono amici e amiche a scuola, al parco giochi tra L'altro la situazione era diventata insostenibile per me, perché la tela cresce e i genitori che mi scrivono sono tantissimi e questo mi rende estremamente felice perché significa che l'educazione che di fondo sta arrivando davvero a sempre più famiglie, ma c'è un piccolo problema, ovvero che io rimango una sola e quindi abbiamo trovato una soluzione, secondo me bellissima, che era esattamente la mia visione e che a lungo termine sarà più sostenibile e mi permetterà di dare ai genitori il giusto aiuto nei tempi giusti, perché ultimamente stavo arrivando anche con un mese di ritardo a rispondere e questo non mi piace. Quindi ora, se avete bisogno del mio aiuto potete creare un uno a uno con me secondo la mia disponibilità e questa è una sorta di chat privata di messaggi tra di noi che rimane aperta per un tempo che decido in base alla situazione in cui aiuto i genitori con una difficoltà specifica, un momento difficile che stanno vivendo e do gli strumenti per fare il lavoro a casa voi, perché se non fate il lavoro voi, nulla cambia, ovviamente. E inoltre la cosa bellissima è che si aggiungono a questo servizio anche, um, persone altamente preparate che io stimo moltissimo e che hanno deciso di mettere la loro competenza a disposizione della comunità la tela. Quindi vi invito ad andare a vedere il nuovo servizio uno a uno sulla tela um trovate su www punto rotella punto com e lo trovate in alto nella barra. Quindi veniamo a noi e ai bambini che spingono. Userò il messaggio di un genitore che ha fatto anche il mio corso. Premetto che con questi genitori avevamo già lavorato sulla gestione delle emozioni di loro figlio con molto successo. Infatti la mamma mi raccontava che finalmente lui non tendeva più a tirare schiaffi a loro quando era arrabbiato, ma a comunicare le sue emozioni a parole che per un bambino è uno sforzo colossale, tipo vincere un'olimpiade. Quindi nel messaggio che mi scrisse questa mamma però mi colpì una frase che lei usò um, che se non ricordo male, era tipo dopo un miglioramento nel controllo delle sue emozioni, eccetera, eccetera, eccetera. Nonostante magari abbia solo usato la parola controllo senza pensare, io l'ho invitata a non farlo, a non usare questa parola perché il linguaggio modella mentalità e quando usiamo la parola controllo relazionata alle emozioni, ci convinciamo che le emozioni nostre o altrui debbano controllarsi, debbano essere controllate. E invece non è così. Le emozioni devono essere accolte e processate e quasi coccolate. Um, cresciamo con l'idea che le emozioni, soprattutto quelle scomode, vadano controllate perché non va bene mostrarle. Ma la verità è che alcune emozioni le sentiamo scomode proprio perché siamo stati abituati a doverle nascondere a vergognarcene invece di vederle come comunicazione di un bisogno. Se noi genitori abbiamo questa mentalità del controllare l'emozione, allora probabilmente non possiamo aiutare i nostri figli a sviluppare gli strumenti per gestire queste emozioni in maniera sana, per accoglierle, per lasciare che ci comunichino come stiamo, di che cosa abbiamo bisogno? Le emozioni vanno accompagnate, non controllate. Vogliamo trasmettere ai nostri bimbi che ogni emozione che provano è valida, né positiva né negativa, ma semplicemente valida e degna di essere esplorata e vissuta e non repressa. Quando cambiamo questa mentalità cambia anche tutto il nostro approccio alle crisi dei nostri figli e alle nostre. Detto questo, vi racconto brevemente che cosa mi ha detto um quella mamma. Suo figlio allora aveva cinque anni e stava mettendo in atto. Riporto le parole esatte, comportamenti che non vanno bene. Per esempio, tende a essere facilmente frustrato un po' aggressivo con gli amichetti è molto deciso, dà ordini, vuole giocare solo come vuole lui e spesso spinge. La maestra ha anche riferito che a volte è molto collaborativo, ma a volte risponde in modo arrogante anche a lei, oltre che ai compagni. E poi mi ha anche raccontato un episodio in cui erano con degli amici e suo figlio ha spinto uno di loro e che quando sono arrivati a casa, che già lì è stato difficile portarlo via dalla festa, dopo quell'episodio, perché era molto di sregolato, scappava dai genitori, si buttava a terra. I genitori hanno cercato di capire come mai avesse spinto, ma lui continuava a dire che non lo sapeva e quindi mi chiedeva come gestisco questa situazione? Che cosa ne pensi? Cosa potrei fare se succedesse di nuovo? Dunque, prima di tutto. Mi sono concentrata ancora una volta sul linguaggio mentre rispondevo a questa mamma perché il linguaggio modella mentalità e quindi ho riflettuto sulla frase che mi ha scritto sta mettendo in atto altri comportamenti che non vanno bene. Sono d'accordo che spingere non sia gentile che non vada bene, ma credo sia importante ricordare che ogni comportamento per i bambini è comunicazione. È vero, non va bene spingere, ma è anche vero che più vediamo questi comportamenti come sbagliati, più ci concentriamo sul comportamento e quindi magari puniamo il bambino andando via dalla festa e perdiamo di vista ciò che davvero conta. Che cosa mi vuole comunicare con questo comportamento? Perché si sente a disagio in questo momento, tanto da spingere a usare le mani il corpo per comunicare, perché usa le mani per comunicare, ha gli strumenti per fare altro quando usa le mani per comunicare. Mi prendo il tempo io genitore per capirlo o lo sgrido e lo faccio sentire sbagliato senza davvero lavorare su come può esprimere quell'emozione in futuro. Queste sono domande importanti e so che sono domande difficili, perché anche se abbiamo scelto questa educazione non ci viene spontanea e quindi non sempre riusciamo a vedere la persona dietro il comportamento. Ora un bambino che spinge è un bambino che ha non ha ancora capito come gestire una determinata situazione. Una determinata emozione in maniera diversa probabilmente non conosce l'alternativa. Per esempio, immaginiamo che un bambino spinga spesso e il genitore continui a dirgli Non si fa, non si spinge, spingere non va bene se spinge, andiamo a casa. Ecco, e tutte queste frasi con le quali probabilmente tanti di noi sono cresciuti in questo modo il bambino non impara gli strumenti per comportarsi diversamente l'unica, cosa che sa è che spingere non va bene, ma quando è di sregolato, non può ricordarselo, perché il suo cervello non è ancora maturo abbastanza per gestire le emozioni forti da solo. Inoltre, dico sempre di immaginare il nostro cervello come una lampada da terra. Quando siamo di sregolati, è come se la lampada non fosse collegata alla presa, il cervello rettile al sopravvento e noi non possiamo accendere questa lampada e quindi non possiamo attivare la parte razionale del nostro cervello tra l'altro. Se non conoscete la nostra guida e il tuo coccodrillo, vi consiglio di andarla a vedere perché ha aiutato a questo punto migliaia di famiglie a gestire le crisi in maniera più costruttiva, con più fiducia, con più calma, con più um um empatia perché non è solo una guida per il genitore, ma include anche un libro stampabile per l'infanzia e i bimbi si immedesimano tantissimo nel protagonista Oscar. Quindi ricapitolando che sennò mi perdo ogni volta che mio figlio spinge. Se io lo riprendo e lo sgrido, magari vado a casa dal parco come punizione. Che cosa impara mio figlio? Nulla. Uno, perché in un momento di crisi la parte pensante del cervello di nostro figlio non è collegata, è scollegata e quindi le nostre parole dei genitori non gli arrivano e due perché non gli sto insegnando a fare diversamente. La prossima volta non gli sto mostrando l'alternativa, gli dico non fare quello, ma non gli dico che cosa può fare invece di quello. Quindi che cosa possiamo fare invece di quello? Nel momento in cui i nostri bambini hanno dei comportamenti scomodi, il nostro lavoro di genitore è credere a loro, credere a quello che provano, credere alle loro emozioni. Se spinge è perché si sente a disagio e non sa ancora come gestire quel disagio. Dobbiamo dare ai nostri figli il beneficio del dubbio e credere che loro non vogliono comportarsi così, ma semplicemente non sanno cos'altro fare perché non glielo abbiamo ancora insegnato, perché non l'hanno ancora imparato. Quindi dobbiamo dare loro gli strumenti per dare loro gli strumenti. Prima di tutto dobbiamo silenziare la vocina che ci dice Ti stanno guardando tutti. Lo so che in pubblico ci sentiamo in dovere di sgridare nostro figlio, perché così gli altri genitori pensano Ah, ecco, sì, sta facendo il suo lavoro, sta facendo il genitore, sta facendo quello che deve fare, che è controllare suo figlio. Ma in realtà dobbiamo scendere da questa ruota del criceto. Perché se noi continuiamo a sgridare i nostri figli e usare il polso duro senza dare delle alternative di comportamento e fargli delle ramanzine in un momento in cui la loro mente non è predisposta a imparare, è completamente inutile. Non stiamo insegnando nulla, non stiamo imparando nulla, è veramente una situazione in cui perdiamo tutti. Quindi, prima di tutto dobbiamo toglierci di dosso questa necessità di sgridare i figli per far vedere agli altri genitori che sappiamo gestire la situazione, perché quello può essere il modo in cui i miei genitori gestivano la situazione, ma oggi abbiamo più strumenti a nostra disposizione. Abbiamo più attrezzi nella nostra cassetta e quindi sappiamo che quello non è il modo che ottiene collaborazione. Non è il modo che alla base della fiducia che è alla base del rispetto, che è alla base di una relazione costruttiva e sostenibile con i nostri figli a lungo termine e quindi possiamo fare diversamente. Quindi la prima cosa da fare è dare il beneficio del dubbio. E poi forse ne ho parlato anche in altri episodi, quindi non mi dilungo. Quello che possiamo fare è andare dalla vittima, tra virgolette, a chiedere se sta bene, perché così modello il comportamento per mio figlio. Per esempio, mi chiedo quando mio figlio vede una persona che spinge un'altra persona, che cosa vorrei che facesse? Io personalmente vorrei che andasse dalla persona che è stata spinta la aiutasse, chiedesse Stai bene? La consola se stesse vicino a quella persona, Quindi questo è esattamente ciò che faccio io per modellare con il mio comportamento quello che vorrei che fosse il suo comportamento. Poi rimango calma il più possibile e quando arrivo da mio figlio, dandogli il beneficio del dubbio, descrivo quello che è successo? Hai spinto il tuo amico e lui ora piange. Vuoi andare a chiedere se sta bene? A volte ci dicono di no. A volte ci dicono di sì. Generalmente, se sono di sregolati, ci diranno di no. È anche possibile che magari vediamo che invece stiano fermi completamente. Anche quello è un simbolo di disregolazione, perché magari sono rimasti scioccati da quello che è successo. Magari non se l'aspettavano di spingere il il il compagno. Magari è stato un errore. Ecco. Quindi arrivando con il beneficio del dubbio, arriviamo anche con meno aspettative e quindi siamo più aperti a capire davvero che cosa è successo o anche solo ad accogliere le emozioni che vediamo davanti a noi. Perché magari vediamo un bambino di sregolato. Magari scappa da noi, magari ride, magari piange, magari sta andando in giro a buttare oggetti e quindi glielo diciamo, lo fermiamo, Magari gli prendiamo i polsi con gentilezza. Oppure proviamo a prenderlo in braccio con gentilezza e glielo diciamo in questo momento sei di sregolato. Vieni con me, ti aiuto. Se non vuole venire, lo prendiamo gentilmente in braccio. È possibile che urli? È possibile che pianga. Però il nostro lavoro in questo momento è proprio quello di essere il capitano della barca, quindi dobbiamo farlo sentire al sicuro per farlo sentire al sicuro. È molto meglio se gli diciamo, um, ti capisco e ci allontaniamo dal gruppo per poter essere solo noi due, perché in questo modo possiamo entrare di nuovo in sintonia, entrare nel in quello che è il cervello razionale e mettere a nanna il coccodrillo. Um, a questo punto io consiglio sempre ai genitori di fare dei respiri profondi e anche molto rumorosi, proprio perché credo che questo aiuti tantissimo a contagiare la respirazione dei nostri figli. E poi sempre ricordarci che dietro a ogni comportamento si nasconde un bisogno, si nasconde una richiesta d'aiuto e questo mi aiuta ad attivare la mia empatia. E poi aspetto che il cervello sia calmo e offro solo presenza, facendo capire a mio figlio che voglio aiutare, che sono lì per lui. Quando il cervello è calmo. Quando siete entrambi calmi, allora potete chiedere di raccontarvi se ne ha voglia. Qui parliamo di un bambino di cinque anni, quindi probabilmente sarà in grado di raccontare se ha voglia di raccontare. Non arriviamo con perché hai fatto quello che hai fatto. No, chiediamo che cosa è successo? Chiediamo um proviamo a ragionare insieme su come si è sentito, su che cosa avrebbe potuto fare. Invece di spingere. Non gli imbocchiamo le parole, ma se vediamo che ha bisogno di aiuto, gli facciamo da interprete. Per esempio mi stai dicendo che volevi la palla e così hai spen-? Hai spinto l'amico. Sai, ci sono altri modi per chiedere la palla. Vuoi che te ne dica alcuni e li proviamo insieme e poi offriamo alternative e spieghiamo che spingere non è gentile e e che solo noi possiamo scegliere di essere gentili. Ovviamente credo che questo sia importante e che faccia parte della comunicazione della conversazione del momento. Però ovviamente ci ricordiamo che è un processo. Non andrà tutto come vi sto raccontando io. Quindi la prossima volta che succede tutto questo e voi ci provate arrivate da me e mi dice Carlotta, non ha funzionato quello che quello che hai detto dovete adattarlo a voi, a chi siete, ai vostri figli. Io posso raccontarvi che tutto questo che vi sto raccontando ha funzionato con i miei figli. Ha funzionato con altre famiglie a cui ho consigliato questi Questa modalità, questo processo, ma non non con altre, perché siamo tutti diversi e dobbiamo adattare tutto questo a quello che funziona per i nostri figli e ricordarci che è un processo. Mio figlio non smetterà domani di spingere. Smetterà quando ha le parole per comunicare le sue emozioni, quando ha praticato abbastanza la forza di volontà per non esprimere l'emozione con le mani, con il corpo quando ha gli strumenti di cui ha bisogno per scegliere un comportamento diverso. Quindi, ecco, questo è un po' quello che posso Ecco dirvi, um, per provare a gestire la situazione, questa situazione di questo comportamento in maniera più costruttiva. Um ci sono però due precisazioni che mi sono venute in mente mentre parlavo. Forse mi ripeto, ma se mi ripeto repetita iuvant. La prima è che questi comportamenti appartengono alla maggior parte dei bambini che non hanno ancora imparato a gestire le proprie emozioni e la propria frustrazione. Quindi possiamo dire che appartengono a tutti i bambini. Non significa che il bambino sia cattivo, birichino, sfidante o positivo. Mi chiedete spesso è normale che mio figlio si comporti così? Io non amo la parola normale perché beh, che cos'è normale che cos'è anormale chi decide chi e cosa è normale o anormale. Per me è ovvio che se un bambino di sregolato non conosce un'alternativa di comportamento spinge è ovvio che un bambino di sregolato diventi aggressivo con gli amici. Se nessuno gli ha mai insegnato come gestire quell'emozione, è ovvio che una bambina dia ordini e voglia giocare solo come dice lei. Se nessuno ha mai dedicato il tempo di mostrarle come trovare il compromesso e che cosa può fare invece di dare ordini, questi comportamenti sono ovvi ai miei occhi. La seconda precisazione che ci tengo a fare è questa se mi seguite da un po' lo sapete già, credo che sia importantissimo smettere di etichettare i nostri figli biricchino cattivo, arrogante, sfidante, positivo, aggressivo, esagerato, inflessibile potrei andare avanti all'infinito tra l'altro di questo abbiamo anzi ho già parlato anche nell'episodio trentaquattro del podcast che si intitola proprio um smettiamo di mettere le persone in scatole, perché più noi etichettiamo i nostri figli, più no. Il bambino o la bambina si crea una visione di sé nella propria mente, si convince di essere proprio così come noi lo descriviamo e quindi è anche più incline a portare avanti quel comportamento, perché tanto sono aggressivo perché dovrei cambiarlo? Tanto mia madre pensa che io sia aggressivo. Me lo dice in continuazione. Quindi io sono un bambino aggressivo e due quando usiamo un'etichetta è molto più difficile che vediamo nostro figlio. Per chi è. È molto più difficile che vediamo. Il buono in lui è molto più facile. È molto più probabile invece, che lo vediamo per come si comporta. Dobbiamo cercare di scindere chi è nostro figlio da come si comporta. Dobbiamo scindere la persona dal comportamento. Il fatto che nostro figlio a volte si comporti in modo egoista non significa che sia egoista. Il fatto che nostro figlio a volte si comporti in modo aggressivo non significa che sia una persona aggressiva. Però quando noi usiamo queste parole, quando usiamo questo linguaggio, quando etichettiamo i nostri figli automaticamente nella nostra mente stiamo creando un'immagine di loro che è proprio così come li descriviamo? Questo tra l'altro funziona con tutti, non solo con le persone piccole. Se io penso che Alex, mio marito, è asociale, per esempio, tendo molto di più a comportarmi in un modo che tiene in conto di questo suo essere asociale. E quindi magari ci precludo situazioni o decido per noi in maniere che rispecchiano questo suo essere asociale, magari sbagliando e tra l'altro questa è una storia vera di qualche anno fa prima di imparare a fare l'aggiornamento di noi e di chi siamo, quindi vi invito con ogni fibra di me stessa a smettere di etichettare i bambini. Le persone in generale le parole che usiamo sono così potenti che quando cambiamo il linguaggio automaticamente cambiamo la mentalità e quando cambiamo la mentalità scendiamo o abbiamo la possibilità di scendere da qualsiasi ruota dalla quale vogliamo scendere. Okay, questo è un po' quello che volevo dirvi. Credo di avervi detto tutto, forse anche di più. Spero che questo episodio vi sia stato utile e soprattutto se siete arrivati fino a qui grazie per il tempo che mi avete dedicato. Vi ricordo come sempre che mi trovate anche su w w w punto la tela punto com e da lì trovate tutto il resto. Anche il mio Instagram. Buona serata. Buona giornata o buonanotte a seconda di dove siete nel mondo. Ciao ciao
A volte sono però ancora confusa..
Sono d'accordo sul non ricorrere a punizioni, del tipo se spingi gli altri bambini stasera niente gelato.. fin qui ci sono.. però mi chiedo, se sono al parco giochi, e il comportamento di "spingere" continua ad essere ripetuto, nonostante mi sia allontanata con mio figlio di due anni, aspettato che sia calmo, e spiegato i motivi per cui non è questo un comportamento corretto, ma lui tornato insieme ai compagni continua a farlo, io devo per responsabilità portarlo via dal parco, perché non posso permettere che faccia male a qualcuno. Lui resterà deluso da questa decisione, piangerà, ma questo limite mi sento di doverlo dare, non posso non insegnargli che se non è in grado di rispettare il prossimo in un certo contesto, devo allontanarlo da quel contesto. Questa credo sia una "conseguenza naturale" a una certa azione, e non una punizione. Che ne pensi?
hai centrato il punto: portarlo via dal parco in quel caso non è una punizione, è un limite, e una delle differenze sta nel modo in cui lo viviamo e lo comunichiamo.
Se – nonostante tu abbia provato gli strumenti per aiutarlo a rispettare il limite – tuo figlio continua a spingere e tu lo allontani, non stai punendo: stai dicendo, con i fatti, che in quel momento non è in grado di stare in quel contesto. E sì, lui piangerà e resterà deluso, e questo è comprensibile. Ma non è il pianto a renderlo una punizione. Il pianto è la naturale reazione alla frustrazione di non poter fare ciò che desiderava. Il tuo compito diventa accompagnarlo: accogliere la sua delusione senza giudizio, contenere le emozioni e restare ferma nel limite.
Su questo, ti lascio un pezzettino di una newsletter di qualche tempo fa, che potrebbe esserti utile (è quella di marzo 2024, se hai l'abbonamento puoi avere accesso anche a tutto l'archivio delle newsletter precedenti):
Io sono molto in difficoltà ma ti ascolto da tanto e devo dire che sono sempre più felice di farlo mi hai reso una mamma migliore e soprattutto ho visto che con i bambini spesso funziona meglio un approccio di questo tipo
A questo proposito mi piacerebbe un confronto perché con i bambini con difficoltà comportmentali qui si utilizzano premi e punizioni la classica token economy ed io mi trovo in difficoltà perché provo a non utilizzarla nonostante il sistema indica questo
Grazie per i tentativi di cambiare l'educazione anche con il tuo lavoro. 💜
Rosalba
Team La Tela
Complimenti perché con il tuo podcast hai consolidato in me l’esigenza di essere genitore in maniera diversa ed in ognuno trovo spunti per migliorarmi. Ho ascoltato tutti gli episodi in un mese e proprio su quest’ultimo mi sento di lasciarti un mio pensiero. Sono mamma di un ragazzo di 15 anni ed ho iniziato ad approcciarmi in maniera “dolce” a lui da quando sono iniziati i primi tumulti dell’adolescenza…e funziona!!!! Con mio figlio ho avuto spesso il “problema” opposto ossia: veniva spinto, veniva messo da parte, veniva talvolta preso in giro etc…
Credo non sia capitato solo a lui ma che piuttosto ce ne siano tanti di bambini e ragazzi che subiscono senza reagire perciò ti chiedo come noi genitori possiamo affrontare queste situazioni, quando i nostri figli si trovano dalla parte opposta, rispettando sempre tutte le parti coinvolte.
Ti ringrazio di cuore
sono Rosalba del team La Tela.
Grazie a te, per la tua bellissima condivisione 💜
Ps. Sapevi che il parallelismo fra primi 3 anni dell'infanzia e l'adolescenza non è affatto casuale? Maria Montessori elaborò la sua teoria sui piani dello sviluppo, trovando una spiegazione scientifica alla analogie incredibili fra queste due fasi: davvero affascinante!
A La Tela stiamo lavorando anche per creare contenuti che riguardano questa difficile e importante fase, quindi... stay tuned 😉
Ho seguito tutto il tuo corso educare con calma e scaricato la guida il tuo coccodrillo che sono stati molto utili, ma quando li x li gli rispondo "ricordati che adesso hai la cresta del coccodrillo alzata oppure cerchiamo 5 cose da vedere/4 sentire ecc..." lui li x li mi risponde "non funzionaaaaaaa" .
E' frustrante in certi momenti non riuscire ad aiutarlo... ed è difficile riuscire a rimanere sempre calmi, infatti non sempre ci riesco... scatenando di conseguenza una sua reazione ancora più forte (per esempio se urlo, lui si spaventa e si agita ancora di più. So che non dovrei farlo ma a volte l'istinto prende il sopravvento... quindi penso "come posso aiutare lui se non riesco nemmeno a farlo con me stessa??....)
Siamo in difficoltà anche perché a volte presi dalla stanchezza ricadiamo nelle solite cose e questo fa stare male tutti.
Se hai bisogno di un aiuto più concreto, ti invito a richiedere un 1a1 con me: https://www.latela.com/aiutanti/1-carlotta-cerri
Comunque grazie di questo podcast, molto utile e interessante e ricco di spunti.