183. Guardare oltre la disabilità | con Marta Salvio
In questo episodio di Educare con Calma parlo di come possiamo allenarci a guardare le persone oltre la loro disabilità e lo faccio con l'aiuto di Marta Salvio, neuropsicomotricista e parte della comunità La Tela.
Con le sue parole Marta ci guida a ridefinire il concetto di normalità e anche a costruire un linguaggio davvero inclusivo, che valorizzi la diversità senza alzare muri tra noi e gli altri.
:: Nell'episodio menziono
- La guida «Come parliamo di disabilità in famiglia»
- Il pacchetto editoriale «Siamo tutti unici e diversi» incluso nell'abbonamento a Tutta La Tela fino a fine luglio 2024 (e disponibile sullo shop a partire da agosto).
Conosci l'ospite
Carlotta: Benvenuti e benvenute a un nuovo episodio di educare con calma. Oggi vi parlo di un tema che mi
Marta: è molto caro, un tema che non è solo uno spunto di riflessione ma può e
Carlotta: deve, direi trasformarsi anche in una pratica concreta e costante: guardare le persone oltre ciò che possono o non possono fare, oltre le loro diversità. E in particolare oggi parliamo di come possiamo allenarci a guardare le persone oltre la loro disabilità. Perché questo? Prima di iniziare, anzi prima di iniziare faccio ancora una premessa. La premessa sono in natura, sto registrando fuori e questo significa che potrete sentire vento, magari passerà la macchina occasionale, magari ci sarà il canto di uccellino e quindi se sentite dei rumori non arriva da voi, arriva da me.
Ok ora, perché parliamo di questo? Questo mese siamo a luglio duemila ventiquattro per chi ascolta dopo su tutta la tela c'è stata una grandissima novità, ovvero abbiamo ascoltato le famiglie della comunità, la tela, e proprio a partire da questo mese abbiamo deciso di inviare ogni primo giorno del mese un ricchissimo pacchetto editoriale a tema. Questo pacchetto è molto più di un contenitore di prodotti e strumenti, è un vero e proprio motore di riflessioni e spunti per avviare e nutrire conversazioni importanti rispetto a un tema specifico. Il pacchetto di questo mese aiuta a esplorare il tema della diversità. Lo abbiamo chiamato Siamo tutti unici e diversi che è anche il titolo del libro per l'infanzia che si trova all'interno della nostra guida su come parlare di disabilità in famiglia e questa guida la potete proprio trovare all'interno di questo pacchetto editoriale insieme ad altri contenuti pensati apposta per affrontare queste conversazioni che possono essere scomode per qualcuno, la bellezza di la bellezza di questo pacchetto.
Lo sapete che non mi piace dirmi da sola o dire da sola quanto sono belle le cose che facciamo, preferisco siate voi a giudicare e a dirlo a noi, ma questa volta davvero io e tutto il team siamo super super super soddisfatti di ciò che siamo riusciti a creare. E fino alla fine di luglio, sempre duemila ventiquattro, fino alla fine di luglio se fate l'abbonamento a tutta la tela riceverete questo pacchetto e invece da agosto in avanti tutti I contenuti prodotti che sono all'interno di questo pacchetto saranno anche in vendita separatamente sullo shop. Ok, finito il momento pubblicità che però è un momento importante. Io non amo fare pubblicità lo sapete però questi momenti sono anche quelli che poi creano in realtà la possibilità per la tela di sopravvivere e anche per contenuti gratis come il podcast, la newsletter, il blog di continuare ad esistere. Quindi grazie per la vostra pazienza quando vi racconto queste cose più commerciali, Ma ora davvero vado al tema di oggi.
Vi ho detto che oggi parleremo di come possiamo guardare le persone oltre la loro disabilità ma in realtà non sarò io a parlarvene, anzi non sarò solo io a parlarvene. Per approfondire questo aspetto ho chiesto a Marta Salvio che è una neuropsicomotricista che io ho conosciuto a Monaco ed è anche parte della comunità La tela. Ho chiesto a lei di lasciarvi la sua visione e la sua testimonianza. Non è la prima volta che chiedo a Marta di prestarmi il suo sguardo sul suo
Speaker 2: Non è la prima volta che chiedo
Carlotta: a Marta di prestarmi il suo sguardo sul tema della disabilità. Nella guida Come parlare di disabilità in famiglia c'è proprio un'unità dedicata ai racconti delle, tra persone di cura, così le abbiamo chiamate noi, quindi quelle persone che hanno accolto nella loro vita la disabilità di altre persone per lavoro, ad esempio, come nel caso di Marta o anche perché hanno nella loro famiglia stretta, d'origine, allargata una persona con disabilità. Quindi vorrei iniziare leggendovi proprio la sua testimonianza perché racconta anche tanto del suo lavoro, del suo approccio, del suo sguardo gentile e delicato su questo tema. Ve la leggo: La prima volta che entrai in contatto con dei bambini con gravi disabilità fu con il catechismo. La nostra parrocchia gestiva un piccolo cottolengo e arrivati alla cresima I catechisti decisero di farci conoscere questa realtà.
Ricordo che dopo questo incontro molti genitori dei miei compagni si lamentarono perché I figli non riuscirono a dormire ed erano rimasti troppo negativamente impressionati. Credo che I catechisti volessero farci vedere quanto eravamo fortunati, ma non fecero una cosa fondamentale: prepararci adeguatamente e parlarne. Io non ebbi incubi, ma non rimasi certo indifferente. Vidi per la prima volta bambini con tracheotomie e PEG e mi sentii triste al pensiero che quei bambini della mia età o più piccoli non potessero passare tempo con le loro famiglie che spesso le vedessero solo nel fine settimana. Scegli di diventare terapista della neuro e psicomotricità dell'età evolutiva a circa quattordici anni.
A pensarci oggi mi sembra assurdo. Mi lasciai ispirare da una mia capo scout che era TNP, terapista della neuroepi psicomotricità dell'età evolutiva, e mi raccontava spesso del suo lavoro in cui aiutava bambini e bambine con disturbi e disabilità: autismo, disabilità neuromotorie, disturbi specifici dell'apprendimento, patologie genetiche, disturbi post traumatici da stress, eccetera. Li aiutava a crescere al massimo del loro potenziale semplicemente, lo mette tra virgolette, giocando con loro. Se mi avessero dato un centesimo per tutte le volte che mi è stato chiesto se ero certa di voler lavorare per tutta la vita immersa in questo contesto così pesante, complesso e difficile tutti tra virgolette, qualche milione sul conto ce l'avrei. Le persone spesso vedono questo: la difficoltà.
E invece sapete qual è stata la parte più faticosa del mio lavoro? La burocrazia, la noia mortale della gestione di una partita iva. Non sto dicendo che il mio lavoro sia facile: ci sono disabilità o bambini o famiglie che possono essere più o meno sfidanti o con le quali si fa più fatica ad entrare in relazione, ma io penso che con lo studio e con la formazione continua anche le difficoltà personali si possono superare con facilità. L'unico momento in cui sono entrata in crisi è stato al rientro dalla prima maternità. Il centro per cui lavoravo mi spostò di sede e mi assegnò prevalentemente bambini e ragazzi della comunità residenziale.
La maggior parte avevano disturbi post traumatici da stress, alcuni associati anche ad altre diagnosi, con storie che prima di allora avevo visto solo nei film o nelle serie tv poliziesche. In quel lasso di tempo mio figlio cominciò ad agire sul mondo e ad autoaffermarsi. Non so spiegarvi che cosa successe nella mia mente, ma c'erano momenti in cui negli occhi dei miei pazienti vedevo quelli di mio figlio e peggio ancora altre volte vedevo in risposte di mio figlio le azioni dei miei pazienti. La scelta migliore che feci in quel momento? Chiedere aiuto ad una psicoterapeuta con la quale riordinai e scissi le due realtà e le due dimensioni lavorativa e personale.
Sono la mamma di mio figlio e la terapista dei miei pazienti e mai sarò il contrario. Ecco, ho pensato che fosse bello leggervi questa testimonianza perché questa è Marta e capirete perché quando l'ho conosciuta non ho potuto fare a meno di chiederle di offrirci un contributo su questo argomento. E adesso la lascio conoscere anche a voi attraverso la sua voce. Marta scritto una preziosissima riflessione sul modo in cui possiamo guardare le persone oltre la loro disabilità e ce l' letta così, come una lettera a cuore aperto verso chi è animato da un sincero desiderio di allenare uno sguardo più gentile e curioso verso l'altro, ma non sa ancora come fare. Vi lascio con le sue parole.
Speaker 2: Quando mi hai detto di parlare del tema come guardare una persona oltre la disabilità mi è venuta un po' di paura, ma poi ho pensato: se non noi chi? E se non ora quando? Allora poi mi sono chiesta se potessi aiutare a vedere le persone con disabilità come le vedo io. Cioè come persone ma con caratteristiche diverse dalle tue, dalle mie, dalle nostre. Persone con caratteristiche e competenze che possono portarle a fare e ottenere cose diverse da quelle che posso fare o ottenere io.
O che non potranno mai e poi mai fare qualcosa nella loro vita. Come noi d'altronde. Conosci qualcuno che nella sua vita abbia fatto od ottenuto tutto il possibile? Io no. Ognuno di noi punti di forza e abilità e punti di debolezza e incapacità.
Per esempio io sono molto brava ad inventarmi giochi e ho scelto un lavoro dove poter sfruttare questa mia competenza ma sono quasi totalmente incapace di gestire la parte economica e mai e poi mai mi vedrai in un settore di economia e commercio. Ti sembra normale? Immagina di sì. E se ti dicessi che un ragazzo o un bambino è bravissimo mettere in fila le sue macchine, ma che non è assolutamente interessato ad entrare in relazione con I suoi compagni di scuola, ti sembra normale? Probabilmente mi risponderai di no.
Ma magari, nel futuro, un posto nel mondo per lui c'è. Ho ragionato per molto tempo sul significato di normalità. All'università studiamo teste e scale di valutazione. Le parole più usate sono nella norma, borderline, sotto e sopra la media. Tutte queste parole si dispongono su una curva gaussiana.
Se ti dovessi dare un'immagine della normalità ti direi che è una campana sotto la quale stanno la maggior parte delle persone che si equivalgono per caratteristiche e capacità. Fuori dalla campana c'è il resto del mondo. Ora non è che si possa fare tanto con sta campana. O ci stai dentro o ci stai appiccicato o ne sei totalmente fuori. Ma questa è una questione di numeri.
Possiamo farci qualcosa? No. Sai cosa possiamo fare? Trasformare il materiale della campana. Se ti dico di immaginare questa benedetta campana tu la vedrai in ottone o in un altro metallo.
Allora sai cosa ti dico? Prova ad immaginarla in vetro o in plastica. Insomma, in un materiale trasparente. Così potrai vedere le persone che stanno fuori esattamente come quelle che vedi dentro. Anzi, ti dirò di più: vedrai meglio anche le persone che sono dentro perché entrerà più luce.
Per la Treccani si dice normalità carattere o condizione di ciò che è o si ritiene normale, regolare, consueto, non eccezionale, casuale o patologico con riferimento al modo di vivere, agire o allo stato di salute fisica o psichica di un individuo, sia a manifestazioni e avvenimenti nel mondo fisico, sia a situazioni più generali Quindi possiamo dire che la normalità è intesa come una condizione o caratteristica appartenente alla maggioranza delle persone. Ma io aggiungerei anche, appartenente alla maggioranza delle persone ma io aggiungerei anche condizione più o meno conosciuta eo accettata. Ti faccio un esempio: se tuo figlio ti chiede: perché quella persona porta gli occhiali? Tu non farai fatica a rispondere perché non ci vede bene e per vedere come vediamo noi deve tenere gli occhiali. Ma se ti chiede: Perché quel bambino una cosa di plastica attaccata alla testa e che finisce sull'orecchio?
Molti faranno più fatica a rispondere con così tanta naturalezza, anche perché non sapranno tutti che quello è un apparecchio acustico che serve al bambino a sentire. O ancora: Se vedi un neonato che piange e tuo figlio chiede perché, non farai fatica a spiegargli che sta facendo fatica a comunicare un bisogno. Ma se vedi un bambino di sette-otto anni o anche mille dodici fare lo stesso farai fatica a descrivere o a dare una motivazione per te valida. Quel bambino potrebbe essere autistico, avere un ritardo cognitivo o semplicemente non aver avuto una buona alfabetizzazione emotiva. Ma al di là di questo non sta solo facendo fatica a comunicare I suoi bisogni?
Quindi qual è la differenza tra la descrizione del neonato e la descrizione del bambino più grande? Che è socialmente accettato che un neonato pianga e urli, ma non è socialmente accettato che lo faccia un bambino o un ragazzino. E in questi casi mancano le parole. La diversità non dovrebbe essere dimenticata, nascosta o addirittura fonte di imbarazzo. Pochi giorni fa Francesco Cannadoro sulla sua pagina Diario di un padre fortunato pubblicato un video che iniziava così: Quando parlare ai bambini di disabilità.
Il video semplicemente continuava dicendo Quando I bambini cominciano a chiederci di più, ma Noi dobbiamo saper rispondere e se in quel momento non abbiamo una risposta allora è meglio rimandare dopo esserci informati. Mi rendo conto che per me che con la disabilità ci lavoro questo passaggio è stato molto semplice e naturale. Quando mio figlio indicato una signora in sedia a rotelle chiedendo cosa avesse e perché per me è stato automatico da rispondere a una malattia che non la fa camminare come noi. E la sedia con le ruote le permette di fare quasi tutto ciò che facciamo noi. Però poi mi sono chiesta: Come fa un adulto che non avuto la mia formazione, che non conosce certe situazioni?
Secondo me deve fare quel grandissimo sforzo di umiltà e rispondere: Non lo so. La tua è una domanda importante e non so come risponderti, ma prometto di informarmi e farti sapere qualcosa al più presto. Questo è di gran lunga meglio di sai, c'è chi nasce così oppure qualcuno è più sfortunato di noi oppure ci sono persone che non possono fare quello che facciamo noi eccetera. Non ce ne rendiamo spesso conto ma le nostre parole creano il terreno per una mentalità escludente, includente o integrante. Cosa intendo?
Che come ci poniamo e descriviamo una determinata tematica porta I nostri piccoli ad approcciarsi nello stesso modo. Se io dico tu sei così e lui non è così metto un muro di mattoni in mezzo tra te e lui. Se io dico: Lei è com'è e tu sai come sei, metto un muro di legno tra lei e te. E se dico: Siamo tutti diversi, non metto muri. Escludo, integro o includo.
Attenzione però: l'inclusione e l'integrazione non si fanno solo a parole, ma anche con I fatti. Penso ai miei vari pazienti che negli anni non sono stati invitati alle feste di compleanno, o a giocare al parco o a casa dei compagni. Eppure a scuola nel gruppo classe erano stati inclusi perfettamente, sviluppando anche qualche relazione preferenziale. L'Italia vanta un sistema scolastico inclusivo, ma usciti da quelle mura l'inclusione ce la si dimentica. A volte anche tra servizi di cura, Anche qui però bisogna prepararsi, aprirsi all'inclusione in modo consapevole, ed entrambe le parti: famiglie con e senza disabilità in casa.
Ho conosciuto anche famiglie di pazienti che attorno a loro figli sono riusciti a costruire una rete di amicizie e relazioni stupendamente variegate. E' un lavoraccio, a volte provocherà tanta rabbia, tristezza, amarezza, ma secondo me ne vale la pena. In uno dei miei corsi di formazione continua la nostra docente ci disse di indossare degli occhialini rosa, ma non intesi come quelli che ti fanno vedere tutto perfetto, bensì degli occhiali rosa che ti fanno vedere il possibile, o le strade percorribili. In questo modo potremo offrire ai nostri pazienti o bambini ambienti e situazioni che li aiutano a sviluppare le loro competenze e abilità. Ovviamente vicino ci devi mettere un gran lavoro osservazione e conoscenza della patologia del bambino e della famiglia.
Ecco, oggi vorrei provare a regalarvi questi occhiali che ho imparato ad indossare e gestire negli anni. Sì, perché qui si parla di un lavoro lungo e costante che può sempre essere migliorato anche da chi ci è immerso dentro. Nel ragionare su questo racconto che vi sto lasciando mi è tornato alla mente un colloquio per un avviso pubblico di un ospedale a cui partecipai per un progetto sull'autismo. Il neuropsichiatra infantile di allora, un luminare del nostro territorio decisamente un po' eccentrico, mi chiese qual è per lei l'obiettivo di un trattamento per un bambino autistico? E io da fantastica neo laureata nella mia testa rivoluzionaria e ti ricordo che la mia formazione universitaria era la famosa campana della normalità e non normalità ma a me quella campana che mi immaginavo di ottone stonava e non mi piaceva risposi cercherei obiettivi bla bla bla per farlo arrivare ad una vita il più normale possibile mi rispose che era una risposta stupida: nessun autistico avrebbe mai potuto avere una vita normale.
Ad oggi con quegli occhiali rosa sempre con me ti dico che allora avevamo sbagliato entrambi. Io nel credere di dover omologare la diversità e lui nel credere che una vita diversa non possa essere normale. Prima di salutarti vorrei lasciarti anche un mantra che mi ripeto spesso regalatomi da una neuropsichiatra infantile con cui ho avuto l'onore di lavorare per un breve periodo. Per ora un mondo per tutti non esiste ma forse un domani ci sarà. Noi possiamo fare la differenza in questo.
E ora ti do anche gli ingredienti per costruire I tuoi personalissimi occhialini rosa. Mettici ascolto scoperta dell'altro curiosità gentilezza informazione e rispetto togli giudizio e compassione è un lavoro difficile ma se non ora quando e se non noi chi?
Carlotta: Grazie, grazie, grazie Marta. Dopo le parole di Marta io faccio fatica ad aggiungere altro, quindi ho pensato a che cosa volessi aggiungere, in realtà non penso che ci sia molto che non abbia già scritto nella guida su come parlare di disabilità in famiglia, quindi tutte le riflessioni che in questi anni di lavoro, di formazione per riuscire a scrivere questa guida, perché ovviamente ho dovuto fare un lavoro su me stessa prima di riuscire a scrivere questa guida e la guida è una collezione, un racconto, una raccolta di tutte le persone che mi hanno insegnato di disabilità in questi anni e a parlare di disabilità ai miei figli in questi anni. Dialoghi che ovviamente prima ho dovuto fare con me stessa prima che con I miei figli. E quindi ecco per le mie riflessioni, per approfondire questo lavoro vi rimando alla guida Come parlare di disabilità in famiglia E invece chiudo questo episodio ripetendo le parole della testimonianza di Marta che a me sono arrivate di più, che mi sono sembrate più preziose così che possano essere anche per voi quasi un mantra da ripetere, me le sono scritte qua, ve le leggo: le nostre parole creano il terreno per una mentalità escludente, includente o integrante.
Se io dico
Marta: tu sei così e lui non è così metto un muro di mattoni tra te e lui. Se io dico lei è com'è e tu sei come sei metto un muro di legno tra lei e te. Se io dico siamo tutti diversi non metto muri.
Carlotta: E credo che questo racchiuda davvero il senso di tutto il discorso sulla diversità e sulla disabilità che facciamo anche nella guida. Per oggi è tutto, vi do appuntamento alla settimana prossima con un nuovo episodio del podcast e vi ricordo che mi trovate anche, ovviamente, su la tela punto com e da lì potete arrivare anche a Instagram. E anzi no, vi ricordo anche, ancora una volta, giusto perché così non ve lo perdete, che avete ancora pochi giorni per ricevere tutto il pacchetto Siamo unici e diversi, incluso nell'abbonamento a tutta la tela. Questo succede fino a fine luglio, invece da agosto avremo un nuovo pacchetto editoriale che ovviamente verrà inviato anche a chi l'abbonamento a tutta la tela e questo nuovo pacchetto editoriale è faccio uno spoiler? Sì, faccio uno spoiler!
E su come osservare la natura, su quello che la natura ci insegna. No, non faccio più spoiler ma vi dico che includerà anche un prodotto che state aspettando da tanto che è una nuova audio storia della tela racconta. Basta ho detto troppo. Buona serata, buona giornata o buonanotte a seconda di dove siete nel mondo.
Speaker 2: Ciao ciao!