237. Adolescenti e apatia: quando reagiamo come non vorremmo e come cambiare
In questo episodio di Educare con calma esploro una dinamica comune a molti genitori: i momenti in cui – davanti a quella che ci sembra apatia o «chiusura» di nostrǝ figliǝ adolescentǝ – reagiamo invece di scegliere il nostro comportamento.
:: Nell'episodio menziono
- Il mio carosello Instagram sulle «7 verità scomode» per i genitori.
Conosci l'ospite
Carlotta: Benvenuti e benvenute a un nuovo episodio di Educare con calma. La scorsa settimana vi ho parlato di abuso e di come penso che sia importante iniziare a definire abuso anche uno schiaffo, uno strattone, una spinta, una tirata di vestiti o di orecchie. Perché abbiamo normalizzato verso I bambini comportamenti che non sono validi e che se fatti a un adulto chiameremmo violenza. Credo che si debba iniziare a fare un passo indietro e per farlo penso che sia importante iniziare a chiamare questi comportamenti con il giusto nome, abuso, che significa proprio usare esageratamente, in questo caso, la forza o il potere che abbiamo nella relazione con I nostri figli. La forza o il potere che abbiamo nella relazione con I nostri figli.
Se non l'avete ancora ascoltato vi invito a recuperare quell'episodio e proprio in quell'episodio vi anticipavo un aneddoto, secondo me molto toccante di una mamma, di un adolescente che mi scritto dicendomi che si sentiva molto delusa perché aveva dato uno schiaffo alla figlia per suscitare una reazione in lei perché la vede apatica ed è preoccupata. Di questo vi parlo fra un attimo, ma prima vorrei ritornare un pochino su una cosa che ho detto nell'episodio precedente, ovvero a nessuno piace pensare di stare abusando dei propri figli, ma se non iniziamo a dirci questa verità scomoda, non possiamo nemmeno iniziare a fare il lavoro di consapevolezza per rompere questo ciclo generazionale. Quindi prima di leggervi il messaggio di oggi vi dico sette verità scomode che avevo scritto in un contenuto passato, quelle che non vogliamo dirci perché ci creano disagio ma che io credo siano le uniche chiavi per uscire da determinate gabbie. Le verità scomode accettarle, raccontarle sono una vera e propria forma di attivismo secondo me, una forma di attivismo onesta e gentile verso l'educazione in cui credo e se ci credi anche tu nell'educazione a lungo termine ti invito a dirte ad alta voce a ripetertele queste verità scomode iniziando ad accettarle e sarai anche nella condizione di iniziare a diffonderle.
La prima l'ho detto anche nell'episodio passato è che anche noi siamo vittime. Siamo cresciuti con strattoni, schiaffi sulla bocca, sculacciate, trascinati con una mano stretta, magari troppo forte intorno al polso, le dita, magari troppo forte intorno al polso, le dita disegnate sulla pelle. Almeno io le ricordo tutte. E abbiamo normalizzato questi comportamenti chiamandoli disciplina, ma in realtà sono abusi. Sì, abbiamo subito abusi nella nostra infanzia e fa male rendercene conto ora.
La seconda è che il trauma rimane in età adulta. Una sculacciata fa male al corpo ora, ma fa male anche alla mente a lungo termine. Come mi scritto una mamma della comunità, entra dentro la testa del bambino che sente l'ingiustizia ma non la vede negli occhi degli altri e allora si adegua. È un vero e proprio trauma che tantissimi di noi hanno e che fanno finta di non avere. Ma noi con la consapevolezza e iniziando a cambiare, a rompere questo ciclo generazionale, possiamo evitare di trasmetterlo ai nostri figli.
La terza è che la violenza non è educazione. La generazione dei giovani di oggi che tanti portano come esempio dell'educazione che diffondo, ovvero giovani che fanno tutto quello che vogliono, che sono irrispettosi, eccetera, eccetera, Una Una generazione che non potuto imparare l'autocontrollo, che sa fare la cosa giusta solo se c'è il rischio di una punizione. Questa non è educazione e oggi noi qui abbiamo l'opportunità di cambiarla. La quarta è che ci stiamo ingannando. L'ho detto anche nell'episodio passato: abusus viene dal latino e significa usare esageratamente, quindi trascinare è un abuso di forza perché usi esageratamente la forza, Minacciare è un abuso di potere, perché usi esageratamente il tuo potere.
Disciplina significa insegnare, non punire. Dobbiamo fare attenzione alle parole che usiamo, perché se ci ostiniamo per esempio a chiamare disciplina, comportamenti abusivi, come strattonare e sculacciare, ci inganniamo nascosti dietro a un'armatura di parole sbagliate che usiamo per giustificare comportamenti che dentro di noi sappiamo essere sbagliati, che mi porta alla quinta verità scomoda. Tu dentro di te sai che quei comportamenti sono sbagliati? A volte chi critica un'educazione senza violenza è perché o usato o ricevuto comportamenti violenti o li ricevuti e poi li usati. Li giustifica con frasi come non mai fatto male a nessuno oppure sono cresciuto bene lo stesso, ma dentro sente vergogna perché il suo dialogo interiore gli dice che quello è un comportamento sbagliato, lo vede negli occhi dei suoi figli, quella vergogna consuma.
E qui entra in gioco la sesta verità scomoda, scomodissima. Sai qual è l'antidoto per la vergogna? La vulnerabilità. La vulnerabilità è scomoda ed è una delle cose più difficili da imparare a mostrare, perché ci mette a nudo, ci rende autentici, e purtroppo siamo cresciuti pensando che se siamo I nostri io autentici, chi ci ama smetterà di amarci. Lo abbiamo imparato ogni volta che eravamo in crisi o che urlavamo di frustrazione, per esempio, e I nostri genitori ci privavano dell'amore, per esempio, e I nostri genitori ci privavano dell'amore non accettando quella versione di noi.
Di questo, tra l'altro, ho anche parlato nella mia masterclass sull'autostima che è inclusa nell'abbonamento a tutta la tela. Essere vulnerabili spesso inizia proprio dal mettersi in dubbio, dall'ammettere di avere sbagliato o di stare sbagliando, dal cercare strumenti per fare diversamente, per esempio per ottenere la collaborazione dei figli senza violenza. E sulla tela ne trovate tantissimi di questi strumenti e l'educazione a lungo termine è tutta basata su questo, ed è possibile, è fattibilissima. E poi, soprattutto, significa riparare con coloro che abbiamo abusato. E lo so, e lo ripeto, nessuno vuole pensare di stare abusando dei suoi figli.
Fa male al cuore. Ma dobbiamo dircelo che lo stiamo facendo, perché non lo sappiamo più. Finché I nostri figli crescono pensando che la violenza sia la risposta alla paura, alla rabbia, alla frustrazione, che sia l'unico modo per educare, beh, stiamo già vedendo il risultato e quel risultato fa male al cuore. E così ti lascio anche un'ultima verità scomoda: quel disagio è necessario. Se provi disagio mentre stai ascoltando, ti chiedo di rimanerci seduto dentro, in quel disagio.
Smettere di abusare dei nostri figli, e io lo so bene perché anche il mio primo istinto è alzare le mani, è una scelta. E questa scelta può nascere solo dal disagio che stai provando in questo momento, dalla consapevolezza che deriva da quel disagio. Rumi diceva che la cura per il dolore sta nel dolore. Io ti dico la cura per il disagio sta sulla panchina del disagio. Rimanici seduto o seduta.
E ora che vi ho fatto questa introduzione, questa premessa secondo me necessaria per ripetere un pochino quello che abbiamo detto nell'episodio passato, ma anche per lasciarmi qualche spunto in più, perché credo che questa sia una conversazione importante e non scappare dalle conversazioni importanti anche se difficili è una promessa che io ho fatto a me stessa moltissimi anni fa. Anzi, chiedo anche a voi di provarci. Inviate questo episodio o l'episodio precedente a più persone possibili. Diffondiamo una nuova narrazione di disciplina, un'educazione che non richiede la violenza per ottenere ciò che vogliamo. Vi leggo quindi il messaggio della mamma di cui vi parlavo all'inizio e poi vi farò ascoltare una risposta molto interessante di Giada Vettorato, a cui ho chiesto supporto per offrirvi una prospettiva sul tema specifico che porta con sé questo messaggio, ovvero l'adolescenza, il rapporto con l'adolescente.
Giada è una family coach e nel suo lavoro si occupa proprio di supportare genitori alle prese con le fasi della preadolescenza e dell'adolescenza. Vi leggo il messaggio della mamma: Carlotta cara, che amarezza che ho stasera! Proprio oggi, se mi credi, sono arrivata a schiaffeggiare mia figlia di diciannove anni. E sai perché? Perché è diventata totalmente apatica, non collabora in casa.
Se le chiedi una mano ti dice sì sì e poi puntualmente non lo fa. Credo che esistano semplicemente dei figli non ricettivi e io non so più come spiegarle con le parole qual è la strada da percorrere. Io qui ovviamente la prima cosa che le ho detto è di non giudicarsi, di accogliersi e soprattutto di riparare con sua figlia, perché spesso quando ci sembra di non avere altri strumenti ricorriamo ai metodi che conosciamo, anche perché I nostri genitori spesso ci dicevano che quei metodi erano per amore, erano per il nostro bene, quindi noi li ripetiamo. Ma io, appunto, le ho consigliato di parlare con la figlia, di spiegarle che cosa prova, di spiegarle che sbagliato, di spiegarle che uno schiaffo non è un gesto d'amore, ma è un abuso e che lei cercherà di evitarlo in tutti I modi in futuro. E poi proprio di parlare con lei di quello che sta vivendo, di quello che sente ed è anche del fatto che non è capace, che si sente di non essere capace di fare il genitore in questa fase così complicata e questo penso che sia forse lo anche un episodio del podcast penso che sia una cosa bellissima da dire ai nostri figli che non siamo capaci di fare I genitori perché prima di tutto offriamo onestà perché nessuno di noi è capace a fare il genitore finché non lo vive e poi anche perché dà un senso di squadra possiamo risolvere questa situazione insieme.
Qui poi chiaramente avrei dovuto anche entrare nella conversazione del non possiamo mostrare ai nostri figli qual è la strada da percorrere perché la nostra strada non è la loro strada e sono loro, solo loro, che ci piaccia o no, che possono decidere la loro strada. È difficile da accettare anche perché siamo stati cresciuti diversamente. Io ricordo mia madre che ancora ventidue anni cercava di dirigere la mia vita in una direzione o nell'altra, con amore, con buone intenzioni, ma senza risultato, se non quello di allontanarci. Ma questo è un tema per un altro episodio, quindi non ci entra in questo momento. La mamma mi risposto che ci avrebbe provato e che avrebbe parlato con lei il giorno stesso e poi mi scritto il giorno dopo dicendomi che era stata una conversazione molto nutriente e ringraziandomi e di questo sono molto felice.
Prima di lasciare la parola a Giada e quindi di entrare nel tema dell'adolescenza, vorrei raccontarvi un aneddoto che non ho mai raccontato a nessuno, non perché me ne vergogni, ma perché non c'è mai stata occasione. Sapete che io parlo di genitorialità nelle tappe che ho già vissuto con I miei figli e I miei figli non sono ancora adolescenti, ma questo aneddoto mi riportato alla mente una scena successa con Ma questo aneddoto mi riportato alla mente una scena successa con il fratello di Alex che per qualche anno vissuto a Marbeja, praticamente con noi. E in quegli anni era perso, apatico, proprio come racconta la mamma ed era con noi, non aveva altri punti di riferimento e io avevo creato una connessione speciale con lui, quindi mi sentivo io un suo punto di riferimento. Una sera avevamo avuto uno scambio scomodo proprio sulla sua attitudine e poi io e Alex eravamo usciti a fare una passeggiata a cui lui non aveva voluto unirsi. Quando siamo tornati non era in casa o almeno così credevamo ma le sue scarpe erano nell'entrata e il suo cellulare era sulla scrivania.
L'abbiamo chiamato, l'abbiamo cercato, ma nulla. Se avete letto il mio libro sapete che una mia amica nella mia adolescenza si è suicidata buttandosi da un edificio alto e in quel momento chiaramente la mia mente è andata lì. Chiaramente o no, è lì dov'è andata la mia mente e sono stati minuti lunghissimi finché sento Alex che dice è qui. Era seduto al buio, fuori sul balcone, dietro uno scaffale dove la luce non arrivava e non ci aveva risposto. Non detto una parola, gli ho fatto qualche domanda, ma non rispondeva.
E all'ennesima domanda in cui il suo sguardo rimaneva fisso a terra, lui con le spalle curve come insegno di sconfitta, in quel momento gli ho dato uno schiaffo. Fortissimo, me lo ricordo. Proprio come quella mamma, io volevo suscitare una reazione e allora ventenne non avevo strumenti. E non solo non avevo strumenti, ma la mia mente era piena di narrazioni sbagliate. Quante volte abbiamo visto questa scena in un film o in una serie televisiva?
Qualcuno che picchia un'altra persona per suscitare una reazione. Reagisci e lo spinge. Picchiami anche tu e lo picchia. Me ne viene in mente qualcuno? A me in questo momento nessuno nello specifico è più una sensazione di questo è ciò che si fa in quella situazione.
Quando non sappiamo più cosa fare per suscitare una reazione, picchiamo, usiamo il corpo, usiamo la violenza. È incredibile quante volte nella nostra vita, anche inconsciamente, riceviamo messaggi in cui la soluzione è la violenza. Anni dopo, quando ho scoperto l'educazione a lungo termine, ho parlato con lui, ho ammesso di aver sbagliato e ho riparato. Gli ho detto che capivo solo ora, ora che avevo gli strumenti giusti, ciò che avrei dovuto fare allora di fronte alla sua sofferenza, e che la violenza non è mai la risposta in nessuna relazione, che quello schiaffo era sbagliato su tutti I fronti. Questo era importante per me, perché sapete che cosa succede quando non usiamo la vulnerabilità e non ripariamo?
Succede che le persone che ci amano pensano che quel comportamento sia valido perché hanno stima di noi, pensano di essere sbagliate loro. Ed è proprio questo che succede dentro ai nostri figli e che è successo dentro di noi, bambini. Ed è proprio quello che succede ancora oggi dentro quegli adulti che dicono me le meritavo le botte. Oppure I miei genitori avevano ragione, io ero un bambino difficile o ero un adolescente ribelle. Hanno interiorizzato questo messaggio tossico e lo riflettono nelle loro relazioni, anche quella con se stessa, e solo loro possono scegliere di cambiare narrazione per rompere il ciclo generazionale.
Ok, mi sono lasciato trasportare di nuovo, ma vi lascio alle parole di Giada, che risposto a questa mamma trattando proprio il tema dell'apatia anche dal punto di vista dell'adolescente, perché capire I nostri figli è il primo passo per aiutarli. Ecco l'intervento di Giada.
Giada: Ciao Carlotta, grazie infinite di aver chiesto una mia riflessione. Sono davvero molto felice di poter dare il mio contributo nel tuo podcast e in particolar modo sono contenta di poterlo fare parlando di questo tema, e cioè dell'apatia negli adolescenti. Ho letto con molta attenzione il messaggio che questa mamma ti inviato nella tua community e devo dirti che non mi sorpreso, perché è una richiesta d'aiuto e una preoccupazione che è molto diffusa anche tra le mamme della mia community, ma prima di dare qualche strumento pratico a questa mamma e anche ai genitori che ci ascoltano e hanno figli adolescenti, volevo proprio dare un messaggio di comprensione e non giudizio. Anch'io sono mamma di tre adolescenti e so bene quanto sia difficile a volte rimanere calmi, radicati e autorevoli, quindi ecco mi premeva insomma mandare questo messaggio. Allora secondo me un buon punto di partenza è quello di riflettere sull'uso delle parole che scegliamo di usare per descrivere la realtà.
Quando interpretiamo il comportamento di nostro figlio o nostra figlia come apatia è un po' come, passami la metafora, se stessimo indossando un paio di occhiali con delle lenti colorate. Cosa fanno? Ci fanno vedere la realtà sì ma distorta, perché ce la ritornano con una particolare colorazione e quindi quello che succede è che rischiano di farci perdere tutte le sfumature. Quindi quando per descrivere la realtà, così come un comportamento ovviamente, usiamo un etichetta, quello che stiamo facendo è da un lato aiutarci a dare una spiegazione più semplice di quello che stiamo vivendo, ma dall'altro stiamo anche riducendo al minimo la complessità, e questo lo facciamo perché ci dà l'impressione che in questo modo tutto sia estremamente più facile da comprendere. Quasi ovvio no?
E' un meccanismo assolutamente normale, naturale e in alcuni casi anche molto funzionale, però quando parliamo di relazioni l'uso delle etichette può diventare un ostacolo davvero grande. Quindi se tuo figlio o tua figlia non risponde a una richiesta, e questa sì è una descrizione oggettiva di un comportamento, non è detto che sia apatico o apatica. Potrebbe essere semplicemente non coinvolto, non interessato, non motivato da quello stimolo specifico. Quindi prima di parlare di apatia o non ricettività, caro genitore ti invito a farti una serie di domande che ti servono a chiarire se prima di arrivare a quella conclusione hai messo in atto tutte quelle buone pratiche che possono portare a un esito diverso. Allora la prima domanda che se vuoi è anche banale è: ho veramente chiesto o mi aspettavo che mio figlio o mia figlia capisse cosa doveva fare da solo?
Tante volte come genitori partiamo dall'aspettativa che nostro figlio capisca al volo quello che per noi è ovvio. Tipo c'è disordine e quindi per noi è ovvio che dovresti sistemare, ma spesso questa richiesta non è nemmeno stata esplicitata. La seconda domanda utile da farci è: se questa richiesta l'hai fatta, in che modo l'hai fatta? Era sufficientemente chiara? Era diretta?
Era comprensibile? Hai verificato se è arrivata davvero? Ci hai chiesto un feedback? Perché se io sto parlando a mia figlia e lei è al telefono è molto probabile che non abbia nemmeno registrato ciò che ho detto. Ma non è perché è apatica, è semplicemente perché non era sintonizzata quando io le stavo parlando.
Poi la terza domanda che mi scuserete è un po' più scomoda perché se rispondiamo davvero in modo onesto ci può mettere in difficoltà è: ma fino ad oggi come hai gestito la delega e la collaborazione in famiglia? Perché cara mamma, caro papà, se per anni ti sei caricata o caricato di tutto tu e hai scelto di farlo perché ti sembrava un gesto d'amore? Per fretta, perché delegare è ovvio prevede anche l'affiancamento e la pazienza di aspettare che un altro impari. Oppure per timore che l'altro non facesse le cose bene come le sai fare tu, quello che hai fatto è togliere occasioni di allenamento alla responsabilità. Ricordati che la collaborazione non è un automatismo, è qualcosa che si costruisce, non è che a diciotto anni scatta il senso di responsabilità, quindi se oggi non c'è una risposta non è necessariamente perché tuo figlio o tua figlia non è ricettivo, ma può essere perché non ancora allenato quella competenza.
Infine ti invito a fare attenzione a un meccanismo che è molto comune: prendere una difficoltà specifica e generalizzarla. Se tua figlia non reagisce a una tua richiesta non vuol dire che non reagisca tutto. E' importante che tu sappia notare se reagisci a un'amica, un messaggio che le arriva, un suo interesse perché se è così allora non è apatia, non risponde a una tua specifica richiesta, non a tutte. In quel momento specifico non sempre fare questo esercizio mentale ti aiuta a ridimensionare il problema e soprattutto a trovare una soluzione magari pratica a quello specifico momento. Prima di terminare ci tengo tanto a dirti anche che in questo caso stiamo parlando di adolescenti e quindi di persone che se vuoi hanno già iniziato a costruire la loro identità, però ricordiamoci che non è ancora un processo terminato e il modo in cui noi oggi li definiamo diventa una profezia che si autoavvera perché anche loro finiranno per crederci.
Io non sto dicendo che quello che stai vivendo non sia faticoso, lo so, lo è, però prima di attribuire a tua figlia o a tuo figlio una mancanza profonda ti invito a farti delle domande sincere su come siete arrivati fino a qui e su quali sono le cose che puoi fare oggi per cambiare questo schema. A conclusione mi sembra giusto dire che l'apatia quando c'è veramente è qualcosa di allarmante, significa la mancanza generalizzata di un interesse per qualcosa, Si chiama anche adonia, cioè mancanza di piacere, mancanza di provare gioia nelle cose, nelle relazioni importanti, non avere passioni e in ultima analisi perdere l'interesse anche per se stessi. E se tuo figlio o tua figlia sta vivendo questo, allora va preso in carico, va osservato da vicino con l'aiuto di professionisti. Spero Carlotta di essere stata d'aiuto alla tua community, a questa mamma e grazie ancora per avermi concesso questo spazio. Ti abbraccio e a presto.
Carlotta: Giada, sono io che ringrazio te perché gli strumenti che ci hai dato sono davvero utili, pratici, ma poi soprattutto davvero in linea con I valori che trasmettiamo ogni giorno e che lavoro così tanto per trasmettere qua sulla tela. E quello che tu proponi è proprio quello su cui lavoriamo anche noi per affrontare le varie sfide della genitorialità e parte come sempre da un cambio di mentalità, un cambio di prospettiva, dal mettersi quegli occhiali diversi di cui parlavi tu ed è soltanto questo cambio di mentalità che poi permette di restituire dignità e oggettività all'esperienza dei senza etichette. E quindi, davvero grazie per averci dedicato questo tempo. E tra l'altro faccio un piccolo spoiler perché con Giada abbiamo in mente una collaborazione più estensiva e più approfondita proprio sul tema della preadolescenza. Quindi vi lascio con questa bellissima notizia.
Ma prima di salutarvi vi regalo una strategia secondo me molto efficace che ci offre Giada per trovare un equilibrio familiare tra le esigenze dei genitori e quelle degli adolescenti che sono le riunioni familiari. Giada ci descritto come lei le consiglia e ve lo leggo. Dice ecco come funzionano: si organizzano settimanalmente ogni due settimane ognuno può portare argomenti scrivendoli su foglietti da inserire durante la settimana in una scatolina comune problemi richieste ma anche gratitudine e complimenti la riunione inizia con ciò che funzionato bene nella settimana precedente per creare un clima costruttivo Si utilizza un oggetto della parola, una penna, una qualsiasi cosa che passa di mano in mano. Può parlare solo chi lo tiene per garantire ascolto e rispetto dei turni. Uno dei membri fa da coordinatore per mantenere il filo del discorso e assicurarsi che vengano rispettate le regole della riunione, che vengono stabilite prima elette prima di ogni riunione, tipo non si alza la voce, ci si parla con rispetto, magari si scende anche un po' più nel particolare, quindi che cosa significa parlare con rispetto, si accetta il silenzio delle persone e altre regole che possono essere decise insieme ai componenti del gruppo.
Se l'argomento è la suddivisione dei compiti della settimana, si scrivono tutti su un foglio e si invita I partecipanti a scegliere I compiti fino a che tutti non sono stati assegnati. Questo aiuta moltissimo I ragazzi a sentirsi parte attiva e apre al dialogo sulle responsabilità. E poi si termina con un piano chiaro per la settimana successiva. All'inizio può esserci un po' di resistenza, ma in genere già dopo quattro-cinque incontri si cominciano a vedere grandi cambiamenti sia in termini di collaborazione che di clima familiare. Grazie infinite Giada per averci scritto questo mini riassunto per ci scritto questo mini riassunto per organizzare una riunione familiare.
Mi piacerebbe dedicarci un post sul blog in maniera più approfondita, quindi se c'è già lo troverete nelle note dell'episodio ve lo metto nei contenuti relazionati su latella punto com e tra l'altro le riunioni familiari sono uno strumento che usiamo anche noi ora che I nostri bimbi hanno otto e dieci anni noi lo facciamo in maniera più estemporanea magari mentre stiamo guidando ma diciamo proprio che serve una riunione di famiglia la chiamiamo riunione di famiglia e parliamo di un di una determinata tematica e poi nel percorso sapete che parliamo anche delle riunioni tra genitori per aggiornare la coppia, per parlare dell'educazione dei figli, proprio perché sono uno strumento potente per allenare l'ascolto, per allenare la comunicazione empatica, la collaborazione. Perché quando scegliamo di sederci insieme, di ascoltarci con rispetto, di prenderci il tempo per capire, per farci capire, stiamo già dicendo ai nostri figli: io ti vedo, la tua voce conta e possiamo trovare una strada insieme. E non solo ai nostri figli, ma anche al nostro partner, alla nostra partner. Io ti vedo, la tua voce conta, possiamo trovare una strada insieme. E visto che abbiamo parlato di riparare, io credo che le riunioni di famiglia siano anche un ottimo momento per riparare, perché ci dà la possibilità di prepararci anticipatamente a livello emotivo a livello mentale magari anche scriverci un copione che vogliamo dire è un buon momento per parlare di quando perdiamo la bussola e reagiamo invece di scegliere la nostra azione, di quando ci capita di sbagliare, urlare, strattonare o parlare ai nostri figli con la voce dell'educazione autoritaria che abbiamo ricevuto.
È un buon momento per ammettere che quei comportamenti fanno parte del nostro passato e del nostro presente magari ma che non vogliamo che facciano parte del nostro futuro. Così I nostri figli sentono dalla nostra voce che noi sappiamo con certezza che quei comportamenti sono sbagliati e che stiamo lavorando per fare diversamente. Come ho detto anche nello scorso episodio, l'educazione a lungo termine è una serie di questi momenti, una serie di piccole scelte, perché ogni giorno abbiamo la possibilità di scegliere come ci comportiamo e chi siamo. E quella scelta non solo spetta soltanto a noi, ma è una delle più grandi libertà che possediamo. Questo è tutto per oggi.
Ringrazio ancora di cuore Giada. Vi do appuntamento al prossimo episodio di Educare con calma e nel frattempo vi ricordo che se volete commentare, lasciare una riflessione, fare una titolo nella barra di ricerca del sito. Non mi rimane che augurarvi buona giornata, buona serata o buonanotte a seconda di dove siete nel mondo. Ciao ciao!