241. L'empatia è come un aereo: deve atterrare nell'altra persona
In questo episodio di Educare con calma parto da una metafora che mi ha aiutata a capire come voglio nutrire la mia empatia. Mi sono chiesta cosa significhi far sentire l’altra persona davvero vista e accolta: a volte siamo capaci di provare empatia autentica e, nonostante questo, lasciare l’altrǝ con la sensazione di non essere compresǝ.
Vi racconto cosa ho imparato, anche grazie ai momenti difficili della mia relazione, e condivido tre strumenti per colmare il divario tra ciò che vogliamo comunicare e ciò che l’altrǝ davvero sente, per allenarci a «far atterrare» la nostra empatia nelle relazioni.
Carlotta: Benvenuti e benvenute a un nuovo episodio di Educare con calma. Oggi voglio parlarvi di un concetto che ho proposto tempo fa sul forum della comunità di tutta la tela ovvero che l'empatia per essere vera empatia, deve atterrare nell'altra persona. E oggi voglio riprendere proprio quella conversazione, perché da allora è capitato di parlarne spesso con la comunità su tutta la tela e anche con tantissimi altri genitori su Instagram. E tutto è iniziato perché nel mio lavoro di coppia negli anni difficili con Alex, se avete seguito un pochino il nostro percorso, soprattutto all'interno della comunità, sapete che abbiamo passato anni un po' complicati e che soltanto ultimamente negli ultimi pochi mesi abbiamo effettivamente capito che stiamo vedendo dei progressi e che non pensiamo più che l'unica soluzione sia prendere strade separate. Ecco quindi non sto a spiegarvi tutto quello perché sarebbe proprio entrare in una conversazione grandissima ma in realtà quello di cui voglio parlarvi un po' a che fare con tutto questo, perché in quegli anni difficili io mi sono spesso trovata a fare I conti con una verità scomoda, ovvero puoi provare un'empatia profonda per qualcuno e nonostante questo lasciarlo con la sensazione di non essere visto, di non essere capito, di non sentirsi ascoltato.
E a noi è successo spesso. Io penso di capire Alex, di starlo aiutando, ma se Alex non sente che quelle mie azioni, quelle mie parole lo aiutano, significa che non è vero aiuto, Significa che non sto aiutando Alex come lui avrebbe bisogno di essere aiutato. Ecco, questo concetto dell'empatia che atterra nell'altra persona, ovvero quando l'altra persona si sente capita, si sente vista, si sente accolta, ascoltata. E' stata una verità dura da accettare per me, perché io mi ritengo una persona che osserva moltissimo e osserva anche I bisogni degli altri, li prende profondamente a cuore. Eppure, durante quel lavoro di coppia, ho notato che non sapevo davvero farlo con mio marito.
Io vedo la sua vulnerabilità, ma se quella vulnerabilità tocca corde profonde e dolorose dentro di me, allora tendo ad aggiustarla, a volermi giustificare, a voler giustificare la sua vulnerabilità, magari a volte anche giudicandola, soprattutto se magari siamo in disaccordo in quel momento, lasciando quindi lui con una sensazione di non essere visto, di non essere ascoltato, di essere invisibile. E questo è triste perché io sono lì che effettivamente cerco di andare verso di lui, ma se lui non vede che io sto camminando, se lui non sente I miei passi, è come se io non li stessi facendo. E da allora mi sono osservata a fondo anche con I miei figli. Sono certamente più brava a offrire empatia a loro, ai miei figli. Ho lavorato tantissimo per rimanere insieme in silenzio su quella panchina del disagio.
Ma il mio primo istinto è comunque ancora risolvere, aggiustare, razionalizzare, aiutare, anche giudicare a volte. Per esempio ok capisco che trovi ingiusto che Oliver non ti abbia aiutato a mettere in ordine, ma quante volte tu non aiuti lui? Una frase che detta così sembra valida, sembra razionale, ma nel momento in cui mia figlia sta piangendo perché sente un'ingiustizia, questa frase non la fa sentire capita. La mia empatia, ovvero la mia capacità di capirla, ascoltarla, accoglierla, non atterra in lei. E così in questi mesi la mia ragnatela di pensieri sull'empatia è cresciuta, cresciuta, cresciuta, continuato a tesserla e oggi ve ne lascio alcuni fili qui per aprire una conversazione o anche solo per avviare una vostra ragnatela personale.
E la riflessione da cui voglio partire è proprio questa: l'empatia è come un aereo, deve atterrare nell'altra persona. Ora, io sono sicura che molte persone che stanno ascoltando sappiano che cos'è l'empatia. La conoscono e la praticano anche. Dico la praticano perché io non penso che l'empatia sia innata. Penso proprio che ci si debba lavorare, che si debba praticare.
E credo che l'empatia sia prima di tutto un cambio di prospettiva, ovvero imparare la capacità di spostarsi dal proprio punto di vista e immaginare il mondo attraverso gli occhi dell'altro, infilarci nella sua pelle e camminarci dentro. Quindi come metterci degli occhiali, no? Che ci fanno vedere il mondo come lo vedrebbe l'altra persona. Questa è empatia cognitiva, poi ci sono altre sfumature, a volte l'empatia emotiva, ovvero sentiamo l'emozione altrui e la riflettiamo, altre volte somatica, ovvero sentiamo nel nostro corpo, per esempio quando vediamo qualcuno soffrire di un dolore fisico, quasi lo sentiamo nel nostro corpo, ecco. Quindi questa è l'empatia, ovvero questa capacità che ci permette di comprendere qualcuno anche quando il suo mondo è lontanissimo dal nostro.
Ma c'è un ma. Provare empatia e venire percepiti come persone empatiche non sono la stessa cosa. Puoi immergerti nel cambio di prospettiva e ciò nonostante l'altra persona può sentirsi invisibile, non ascoltata, non capita. L'empatia diventa reale, vera solo quando atterra nell'altra persona, ovvero quando l'altra persona la sente nel suo corpo, quando il suo sistema nervoso di fronte al nostro tentativo di aiuto, di fronte alla nostra empatia pensa: Ci capisce, siamo al sicuro, mi sento al sicuro. Significa proprio sintonizzarci non solo con la nostra intenzione, ma anche con l'esperienza che l'altra persona della nostra intenzione.
È così che l'empatia genera connessione. In altre parole, affinché quell'empatia generi connessione bisogno di essere percepita, bisogno di atterrare. In questo caso è un po' simile all'amore, no? Io posso amare mio figlio profondamente, ma mio figlio si sente amato da me? Questa è una domanda che esploro anche nel mio libro in uno degli ultimi capitoli.
E quindi parlando di empatia la domanda per me non è solo sto provando empatia, ma è anche l'altro, si sente compreso da me, l'altro percepisce la mia empatia, l'altro mi percepisce come una persona empatica, perché possiamo essere immersi nell'ascolto e nella comprensione dell'altro. Eppure, se qualcosa nella nostra presenza o nella nostra comunicazione, nelle nostre azioni non fa sentire l'altra persona vista, accolta, al sicuro, quell'empatia resta nella nostra esperienza, nella nostra intenzione, non entra nella relazione, non crea legame. È lì che, a mio avviso, l'empatia atterra o meno. Perché a volte davvero siamo convinti di chi siamo, di come comunichiamo, di quanto siamo presenti per l'altro, ma la percezione che l'altro di noi può essere molto diversa e accorgercene o anche solo accogliere quando qualcuno ce lo fa notare, accoglierlo e rifletterci e non rifiutarlo immediatamente è molto importante, è fondamentale per creare connessione e certo può creare disagio, ma è anche uno dei più grandi regali che possiamo ricevere secondo me se siamo pronti a metterci in discussione con apertura e con fiducia. Francesca Dean, la nostra persona di riferimento per la crescita personale della donna dietro alla genitrice, in una delle conversazioni in cui abbiamo parlato proprio di questo sul forum della comunità scritto questo e ve lo leggo perché mi è sembrato molto bello e aggiunge un piccolo pezzettino, un filo di questa ragnatela scritto: Io in passato pensavo che empatia fosse esprimere con le parole una sorta di riconoscimento e quello è certamente il primo passo perché empatia non fa sentire l'altro visto se non è espressa.
Però mi rendevo conto anche che il messaggio non atterrava se quelle persone erano in un copione vuoto e se non c'era un match con quello che io sentivo dentro. Siamo animali in fondo, l'energia, le vibrazioni, il body language dicono la verità di come ci sentiamo e tante volte nel mio caso l'altro coglieva quel messaggio più potente e le parole non funzionavano. Quando ho cominciato a coltivare l'empatia dentro, l'empatia vera, quindi avere veramente accoglienza verso l'altro, sono successe tre cose: uno meno emozioni scomode verso quella persona e più connessione. Penso che ci riporti proprio a quel senso di umanità per cui siamo un tutt'uno. Siamo tutti interconnessi, non in competizione.
Due, si percepisce che l'altro si rilassa e si apre e quindi si apre anche uno spazio di vero ascolto e condivisione. E tre: sono molto più accogliente anche con me stessa. Non possiamo mostrare empatia agli altri se non riserviamo prima a noi quel trattamento. E per me questo sta diventando una delle forme più alte di selfcare. Io, nonostante questa consapevolezza, penso ancora di riuscirci una frazione delle volte.
È un lavoro che dura forse tutta la vita. È vero, sono d'accordissimo con Francesca, è un lavoro veramente difficile e quindi ti offro tre modi per colmare un pochino questo divario, per iniziare a fare questo lavoro. Prima di tutto ascolta davvero senza preparare nella tua mente la risposta mentre l'altra parla. Però comunicaglielo in anticipo e scrivi le frasi che lui o lei dice, non le tue risposte, perché in questo modo ti puoi concentrare davvero soltanto sull'ascolto e non sulla formulazione delle tue risposte. Due.
Lascia spazio al disagio, senza precipitarti a risolvere il problema. Se tocca corde dentro di te molto profonde, per esempio, sei il dolore che ti comunica l'altra persona, la fragilità che ti comunica l'altra persona, la paura che ti comunica l'altra persona, ecco la sua vulnerabilità dipende da te. Se tu hai causato quella vulnerabilità, il tuo istinto sarà quello di difenderti, giustificarti, magari protestare. Invece, rimani seduta o seduto, fermo sulla panchina del disagio e rallenta. Se hai bisogno di una pausa, chiedila, usa un modo per calmare il tuo sistema nervoso e poi torna quando sai che puoi gestire quella conversazione con empatia vera, con calma, con ascolto attivo.
A tale proposito se non hai ancora visto la lezione sul percorso per educare a lungo termine sui vari modi per regolare il tuo sistema nervoso ti invito a recuperarla perché sono modalità che io ho utilizzato proprio nell'ultimo anno e sono quelle che per me hanno funzionato meglio. Te ne ho messe anche varie che magari non uso più, che ho utilizzato per un certo periodo, proprio perché credo che ognuno debba trovare il proprio modo, che si adatta più a lui o lei per calmare, per regolare il proprio sistema nervoso. E ho deciso di crearla, di creare quella lezione proprio perché, lo sappiamo, la caratteristica più importante di un adulto che decide di essere una persona emotivamente matura è proprio saper regolare il proprio sistema nervoso. E quando lo impari, ti si apre un ventaglio di possibilità, ti senti quasi come se si fosse sbloccato un superpotere dentro di te. E tre, riconosci l'emozione anche nel disaccordo.
Non serve essere d'accordo per poter dire ti vedo, ti credo. Questa per me è sicuramente la parte più difficile con Alex, perché se qualcosa che lui dice crea in me un disaccordo e penso che sia sbagliato, penso che lui non mi abbia capita e provo questo forte senso di ingiustizia, faccio fatica a riconoscere, a validare l'emozione che mi comunica. E quindi ho imparato o sto imparando ancora, dipende dalle situazioni a fare una pausa, a fare un respiro profondo, a dirmi: Questa emozione Carlotta non parla di te, Alex ti sta comunicando una sua emozione e ciò che gli hai chiesto di fare è se in questo momento tu non accogli quell'emozione, non riconosci quell'emozione e vai ad attaccare, a giustificare, a proteggerti, non gli stai permettendo di avere successo nel condividere la sua vulnerabilità, nel condividere la sua emozione, quindi sarà molto più improbabile che ci proverà in futuro. E quindi a volte basta anche semplicemente ripetere l'emozione che ti comunicato. Ti sei sentito inadeguato?
Ti credo? In quel momento non serve aggiustare l'emozione, non serve trovare una soluzione. Potete poi farlo dopo in un'altra conversazione. Basta proprio solo vedere l'altra persona, credere all'altra persona, e questo è particolarmente difficile quando sappiamo che l'emozione che prova l'altra persona è in parte o completamente causata da un nostro comportamento. È inevitabile che I nostri comportamenti abbiano influenza su come si sentono gli altri, influenzino come si sentono le altre persone, Ma è altrettanto importante ricordare che spesso quelle emozioni sono ingrandite dal loro passato personale.
Per esempio, io dico ad Alex una frase che genera inadeguatezza in lui. Quell'inadeguatezza è certamente anche un feedback del mio comportamento e sta a me se ci tengo a quella persona iniziare a cambiare quel comportamento o anche solo all'inizio a prendermi la responsabilità di quel comportamento, a dire sì, lo so che mi sono comportata così. Riconosco che è sbagliato, non capisco ancora quale sia l'alternativa e mi dispiace. La prossima volta cercherò di bla bla bla bla. E, allo stesso tempo, quell'inadeguatezza di Alex viene anche da parti profonde di lui.
E' come se il suo passato fosse una cassa di risonanza per quelle emozioni. Magari sono parti che se avesse avuto esperienze diverse nell'infanzia non verrebbero toccate come delle corde di violino di fronte a quel mio comportamento. E questo mi porta a un pensiero a ragnatela che riguarda proprio quella frase comune, no? Mi fai sentire, inserisci la tua emozione, mi hai fatto sentire inadeguato, mi hai fatto sentire invisibile. Sapete che io sono una promotrice del non prendersi carico delle emozioni altrui e di insegnare anche ai nostri figli a non prendersi carico delle nostre emozioni.
Tante persone dicono che questo è l'opposto dell'empatia, ma io non penso assolutamente che sia così, perché come dicevo prima non significa che ci laviamo le mani di come ci comportiamo, perché se l'altra persona si sente così per un mio comportamento è una sua emozione, un suo problema, io non ne sono responsabile. No, assolutamente no. Una cosa non esclude l'altra. Possiamo imparare a non farci carico, non prenderci carico delle emozioni altrui, perché solo allora possiamo separarle dalle nostre e quindi offrire empatia vera senza che quelle emozioni generino reazioni spropositate dentro di noi e allo stesso tempo possiamo prenderci cura delle emozioni altrui, perché in qualsiasi relazione è inevitabile che plasmiamo le emozioni gli uni degli altri. Questa non è colpa.
Questo è potere. La vera domanda è: che cosa voglio fare con questo potere? Io lo voglio usare per far sentire le persone che amo viste, ascoltate, accolte, o almeno non invisibili, non inadeguate. Lo voglio usare per creare confini personali validi e ricordarmi che anche io merito di essere vista, ascoltata, accolta. Lo voglio usare per imparare a essere un adulto emotivamente maturo.
E quindi la mia domanda per te oggi è proprio questa: tu come vuoi usare questo potere? Ti invito a pensarci in questi giorni, in questa settimana che viene prima del prossimo episodio. E questo è tutto per oggi. Ti do appuntamento al prossimo episodio di educare con calma ti ricordo che mi trovi chiaramente sulla tela punto com da lì trovi anche il mio instagram e se volessi commentare se volessi unirti alla conversazione puoi venire sui commenti sulla tela punto com barra podcast cercando il numero di questo episodio o scrivendo il titolo nella barra di ricerca buona serata buona giornata o buonanotte a seconda di dove siete nel mondo. Ciao ciao.
Tante volte crediamo di essere empatici e di aver veramente compreso il punto di vista dell' altro ma non è sempre così. Comprendere gli altri ed "empatizzare" è un lavoro molto difficile che presuppone una grande sintonia tra noi e l'altro ed una grande attenzione ed allineamento.
La difficoltà risiede nel fatto che possiamo essere in ascolto attivo ma non sempre allineati.
Per questo ,per atterrare, occorre fare un lavoro su sé stessi di autenticità per potersi aprire nelle proprie vulnerabilità a chi è di fronte a noi.
La vulnerabilità ci avvicina, sempre.
che bello questo podcast.. lo sento molto mio in questi giorni di grande difficoltà nel mio rapporto di coppia.... e lo trovo estremamente difficile da applicare... per esempio io penso di aiutare il mio compagno ma lui continua a dirmi che non si sente visto, amato... che si sente invisibile... mi chiede cose che io al momento non riesco a dare e da li partono le solite minaccie che lui cerca l'amore che merita altrove...M allora mi chedo: dovrei rinunciare all'essere me stessa ( cosa che sto facendo ora e che mi sta annientando) per capire e in questo caso accontentare lui... o darmi retta perchè altrimenti sarebbe un continuo puntargli il dito? io non so proprio come fare... stiamo facendo terapia di coppia ma vedo tanta rassegnazione in lui... un' altra cosa che non servirà a nulla.. solo una perdita di soldi a parer suo!
Comprendo la fatica di cui parli e che vi sta accompagnando entrambi, non è sicuramente un momento semplice e mettere ordine può sembrare qualcosa di impossibile. Ci tengo a condividerti che un punto fondamentale da cui partire per rendere più chiaro e sostenibile tutto è proprio il lavoro su di sé. Prendersi cura delle proprie emozioni e dei propri bisogni può sostenerci in modo decisivo per scegliere come proseguire sugli altri livelli (ad esempio quello di coppia) e non rimanere “incastrati” in quello che l’altrə si aspetta da noi. Ripartire da sé è il vero dono che possiamo fare a noi stessi ed anche a chi ci è vicino, non si tratta di un evento ma di un processo in cui scopriamo cosa ci fa bene e cosa invece ci frammenta; stare insieme non dovrebbe tradursi in una scelta tra noi stessi ed l’altra persona, ma di comprendere come la nostra differenze possono integrarsi e dare valore alla relazione. Mi rendo conto che questo richiami un grande lavoro di evoluzione continua, ma non dobbiamo necessariamente farlo da soli♥️
Spero che tu possa trovare il tuo punto di partenza, qui in questa community ci sono diversi spunti che possono sostenere la riflessione (ad esempio nella sezione “coppia” trovi i contenuti specifici).
Ti mando un caro abbraccio.
Karen🌷
Ti abbraccio forte e ti ringrazio per aver condiviso questa fatica 💜
Tra l'altro, non so se hai già visto che questo giovedì (6 novembre) Karen sarà in diretta per rispondere alle domande sugli argomenti del suo workshop live che partirà tra poco. Magari ascoltare la diretta potrebbe offrirti qualche spunto per trovare chiarezza: