benvenuti e benvenute a un altro episodio di educare con calma. Oggi vorrei approfondire un argomento di cui ho parlato questa settimana su Instagram e sul blog, ovvero il non forzare i bambini quando non vogliono fare qualcosa. E lo faccio con un esempio pratico perché credo che gli esempi della vita quotidiana aiutino davvero tanto a capire la teoria L'altro giorno eravamo in spiaggia con degli amici. A un certo punto un amico, un mio amico, ha chiesto ai bambini se volevano andare sulle rocce sugli scogli e buttarsi in mare. Oliver subito ha detto di no, ma poi ha deciso di andare vedendo che andavano tutti e il mio errore è stato quello di non assicurarmi che avesse capito che andavano sugli scogli non solo per fare la passeggiata, ma per per buttarsi in mare e anche di non ricordargli che se una volta arrivato là non se la sentiva di buttarsi, non era costretto a farlo. Poteva tornare camminando sulle rocce, quindi credo che il mio errore lì sia stato non comunicare con lui prima non prepararlo e non dargli l'alternativa del tornare, perché probabilmente, anzi sicuramente conoscendo il mio amico non l'avrebbe fatto. Io. Ovviamente li osservavo da lontano. Le due amiche di Oliver si sono buttate. Ma quando è arrivato il turno di Oliver, lui ha detto no. L'ho visto? Proprio ha scosso la testa. Um, ha irrigidito il corpo. Al che io ovviamente, come mi aspettavo, visto che il mio amico stava insistendo, Ovviamente non sentivo che cosa dicesse, ma lo immaginavo. Io fino all'ultimo ho sperato che Oliver decidesse di tornare sugli scogli, camminare perché era chiaro che non voleva buttarsi. Ma alla fine il mio amico, a detta sua, dopo avergli chiesto se voleva che lo buttasse, lui lo ha preso e lo ha buttato in mare. Oliver, ovviamente alla fine si è divertito. Io sapevo che non avrebbe avuto problemi a buttarsi. Però quello che mi è dispiaciuto, appunto, è che non l'abbia deciso. Deciso lui. Quando sono tornati ho detto al mio amico davanti ai bambini, ovviamente, che è sbagliato costringere e forzare i bambini a fare qualcosa che non vogliono fare. Possiamo incoraggiarli? Certo. Possiamo dire secondo me riesci l'altra volta? Ti ho visto buttarti dalla piscina, per esempio. Ma se comunque non vogliono farlo noi adulti dobbiamo rispettarlo. Ovviamente ho scelto le parole in modo che non arrivasse come una critica al mio amico che tra l'altro non è nemmeno padre e poi è una persona molto competitiva. Quindi io comunque ha fatto esattamente quello che io mi sarei aspettata. Ecco quindi non volevo che arrivasse come una critica, ma volevo semplicemente um appunto piantare un semino possibilmente. E poi anche dopo, quando siamo rimasti abbiamo avuto un momento di tranquillità. Ne ho anche parlato con questo mio amico che ovviamente non la vede come me, ma um insomma, siamo riusciti a trovare un accordo per le prossime volte che credo che sia importante. Credo che sia importante perché è proprio in queste scelte di noi adulti riguardo alle azioni, alle reazioni, alle parole che decidiamo di usare con i nostri figli, che sta tutta l'educazione per me, quando forziamo un bambino a fare qualcosa che non vuole fare, stiamo crescendo un adulto che uno è meno predisposto a rispettare gli altri e la loro volontà e due è più predisposto a fare ciò che gli altri gli dicono di fare, anche se non gli sembra giusto forzare i bambini a fare qualcosa anche con le migliori intenzioni, anche se per esempio, vogliamo semplicemente motivarli perché pensiamo che loro davvero siano in grado di farlo. È una forma di abuso. Stiamo abusando della loro incapacità di fare fronte alla nostra logica e alla nostra capacità di persuasione. E così facendo non stiamo solo insegnando loro a non rispettare la propria volontà, ma stiamo anche insegnando loro a usare lo stesso tipo di comunicazione, lo stesso tipo di abuso nelle loro relazioni. E poi magari saranno quegli adulti che rubano un bacio sulla bocca a una ragazza, anche se lei dice di no. Anche quello è abuso. O magari saranno quegli adulti che proveranno sostanze stupefacenti perché tutte le loro amiche lo fanno. Magari saranno adulti che saliranno in macchina come sesta persona, senza quindi potersi allacciare le cinture, perché anche se non se la sentono, ascolteranno gli amici che li convincono, proprio come succedeva quando erano piccoli e noi li convincevamo a fare qualcosa che non voleva. So che può sembrare esagerato, ma tanti dei comportamenti che noi abbiamo da adulti arrivano dalla nostra infanzia, arrivano dal modo in cui siamo stati cresciuti. È per questo che dico sempre che educare i bambini significa prima di tutto educare noi adulti. Ed è per questo anche che insegnare agli adulti intorno a noi, agli adulti che hanno a che fare con i nostri bambini è rispettare la volontà dei bambini e chiedere sempre il loro consenso. E tanto importante quanto insegnare ai bambini a far valere i propri no quanto insegnare ai bambini l'importanza del consenso. E questo sia che si tratti del bacio della nonna, sia che si tratti dell'insegnante a scuola che tira giù i pantaloni per cambiare il pannolino senza chiederglielo, è importantissimo che i bambini possano avere l'opportunità di scegliere di fare qualcosa, perché sono pronti di scegliere di fare qualcosa, perché loro decidono di farlo e non perché noi adulti li convinciamo. C'è una frase in inglese che dice Brave is and way. E non vorrei sbagliarmi, ma credo che sia diventata famosa per uno dei film della Walt Disney ribelle The Brave. Ecco, per me è sbagliatissimo come messaggio per i bambini, per le bambine, ma anche per i ragazzini e le ragazzine. Non è coraggioso chi ha paura e lo fa lo stesso è chi ascolta e onora le proprie emozioni, indipendentemente da ciò che dicono gli altri. E certo il confine tra incoraggiare e costringere è molto sottile, ma proprio per questo dobbiamo prestare ancora più attenzione alle nostre parole tra l'altro sul mio blog, c'è un articolo anche sul forzare o meno i figli a portare avanti un hobby. Vi metto il link nelle note dell'episodio. Quindi, come dicevo prima, va bene provare a convincere, ma quando proviamo a convincere un bambino, io consiglierei di evitare sia i paragoni con gli sia di sminuire le emozioni che provano i nostri bambini. Certo, è più facile a dirsi che a farsi ed è per questo che nel mio corso online dedico un'intera unità nel modulo della comunicazione rispettosa proprio ai cambi di frasi. Quindi scrivo una frase e poi suggerisco un'alternativa rispettosa. E in questo episodio vorrei farvi alcuni esempi di questo tipo di cambi di frasi relazionati alla coercizione, quindi al convincere i nostri figli a fare qualcosa che non vogliono fare. Per esempio invece di dire la classica frase Ma dai ma non c'è nulla di cui avere paura. Possiamo dire se non te la senti non devi farlo. Puoi provarci la prossima volta. Oppure invece di dire dai, non preoccuparti, è solo un tuffo per convincerli a buttarsi dallo scoglio nell'esempio di prima. Possiamo dire mi sembra che tu non sia convinto. Preferisci tornare camminando sugli scogli oppure invece di dire ma è facile guarda la tua amica come l'ha fatto possiamo dire lei lo ha fatto, ma se tu non te la senti puoi provarci un altro giorno. Perché ricordiamoci che a lungo termine anche il paragone insegna ai nostri figli non solo a non pensare con la loro testa, ma anche che a comparare con gli altri, invece di dare sempre più importanza a ciò che vogliono e sentono loro. Già la scuola è un continuo paragonare una continua competizione che non solo è deleteria, ma sta diminuendo drasticamente l'empatia nei nostri bambini. Quindi è ancora più importante che cerchiamo di non perpetuare questo tipo di comunicazione in casa e in tutte queste situazioni non dico che non possiamo incoraggiare i bambini. Possiamo sempre aggiungere una frase di incoraggiamento. Per esempio possiamo dire io credo che tu sia capace. Io credo che tu possa farcela, ma se non te la senti non devi farlo e magari possiamo fare una pausa dopo quel io credo che tu possa farcela per vedere la loro reazione. Ma se la risposta è comunque no, allora bisogna rispettarla, perché in questo modo con le nostre parole mostriamo la nostra fiducia. Mostriamo che noi crediamo in loro, ma che crediamo in loro, al di là di quello che decideranno indipendentemente che si tuffi o meno. Perché altrimenti rischiamo di passare il messaggio che quando fanno qualcosa che non si sentono di fare, um si meritano di più il nostro amore e la nostra approvazione e la nostra stima. E questo è un messaggio davvero deleterio per le loro relazioni future, perché poi magari faranno delle cose che non si sentono di fare pur di compiacere gli altri. Questo non è il messaggio che vogliamo mandare ai nostri figli oppure riprendendo l'esempio del tuffo possiamo dire io vorrei tuffarmi, ma tu puoi tornare camminando sugli scogli ti va bene? O ancora possiamo dire se vuoi ti faccio vedere come lo faccio io e poi tu decidi. In questo modo con il nostro esempio mostriamo che è fattibile. Ma poi è il bambino che deciderà che cosa fare perché l'opzione di tuffarsi è ancora valida, come è valida anche quella di tornare camminando. Entrambe le opzioni sono valide. Nessuna mostra più coraggio dell'altra, nessuna trasmette o guadagna più stima e più ammirazione da parte nostra l'importante è eliminare la coercizione del nostro stile di comunicazione, ovvero proprio eliminare il convincimento, la forzatura, perché non solo è una comunicazione non rispettosa. Io per esempio, se mio marito avesse una paura, non la sminuire cercando di convincerlo a farlo lo stesso, ma la rispetterei. E quindi perché cerco di convincere i miei figli? Forse perché meritano meno rispetto perché sono bambini. E poi un'altra ragione, oltre al fatto che è una comunicazione più rispettosa, um lasciare che decidano loro è meglio, perché la ragione migliore, la ragione più importante per decidere di fare qualcosa è volerlo fare. Questo è il messaggio sano che vogliamo trasmettere un messaggio anche di rispetto verso se stessi. Se mio figlio non se la sente ancora di tuffarsi dallo scoglio, anche se lo fa sempre in piscina e anche se io so che ce la può fare e che non è pericoloso, significa che non è ancora pronto per farlo. E non solo lo rispetto, ma lo stimo perché si ascolta, perché è capace di ascoltarsi e gli dico che ci va più coraggio ad ascoltarsi che avere paura e farlo comunque. Se voglio mostrargli che si può fare, lo faccio io mi tuffo io un giorno, un altro giorno, un altro giorno ancora e magari al quinto giorno deciderà di provare. Se mia figlia dice che ha paura di un cartone animato o di un libro, anche se io so che è tutto finto da genitore non la convinco dicendole Ma va, dai, è solo un libro. Non è reale. Dai, finiamo di leggerlo che che non fa paura. No, io rispetto la sua paura e spengo la televisione o chiudo il libro e le dico non è un problema, è vero. Potre- può fare un po' paura. Magari ci riproviamo, poi quando sarai più grande lo leggiamo quando sarai più grande. E poi vi ricordo che prima dei cinque sei anni continuo a ripeterlo il cervello dei bambini è assolutamente incapace di distinguere fantasia e realtà, anche se loro ci dicono che sanno che è finto. In realtà non lo sanno al cento per cento come lo sappiamo noi adulti. Quindi è ancora più importante rispettare le loro emozioni e rispettare la paura di quello che leggiamo. Essere finzione della finzione. Perché loro in realtà, anche se ci dicono io so che non è vero, non lo sanno che quello che leggono, che è finzione, non è vero e può generare delle paure. E tutto questo tra l'altro non solo perché è una comunicazione più rispettosa, ma anche perché noi siamo il loro esempio. Le frasi che usiamo quando i nostri figli sono bambini saranno le mentalità che loro avranno quando saranno adulti. Se noi usiamo la coercizione, i nostri figli saranno molto più predisposti a usarla a loro stessi da adulti nelle loro relazioni. Ed è possibile che dei valori importanti come la libertà di scelta o il consenso, per esempio, avranno molta meno importanza nella loro mente. E ha senso questo ragionamento, perché se noi vogliamo insegnare il consenso, ma poi li forziamo a tuffarsi o a dare il bacio alla nonna, non siamo coerenti e la coerenza è uno degli strumenti più importanti e più efficaci per l'educazione a lungo termine. E io lo so che non è facile cambiare la comunicazione. So che spesso le frasi ci escono dalla bocca ancora prima di renderci conto di che cosa stiamo dicendo e sono le frasi con le quali siamo cresciuti. Si tende sempre ad educare come siamo stati educati, ma questo non significa che non possiamo cambiarlo. Io sono la prova vivente che il cambiamento è possibile, perché io sono stata cresciuta in un modo. Tutte le frasi che mi uscirebbero naturali sono tipiche dell'educazione tradizionale. Eppure sto educando i miei figli in un altro modo, perché ho scelto di cambiare quelle frasi, di cambiare quei comportamenti. Tante sono già riuscite a cambiarle, tante altre no e ci sto ancora lavorando e non mi sento un fallimento per quelle che non sono ancora riuscita a cambiare. Non mi sento un fallimento quando non riesco ad usare le frasi che voglio. So che ci sto lavorando e che il cambiamento richiede tempo e a volte anche qualche delusione. L'importante è non scoraggiarsi, perché l'educazione a lungo termine è appunto a lungo termine che significa che i semini che stiamo seminando ora non li raccoglieremo noi, molto probabilmente, ma li raccoglieranno i nostri figli da adulti e con questo pensiero vi saluto e vi do appuntamento alla prossima settimana. Anzi, sapete che cosa faccio prima di salutarvi davvero? Vi leggo l'introduzione del libro La paura che è il volume che ho scritto per la collezione. Gioca e impara con il metodo Montessori. Qualcuno di voi ce l'avrà già l'avrà già letto, ma visto che abbiamo anche parlato di paura in questo episodio e tra l'altro anche in questa intro introduzione parlo di quella frase in inglese che ho menzionato prima. Mi sembra appropriato, quindi ve lo leggo la paura e il coraggio nella società. A livello scientifico la paura è un processo affascinante. Nasce in una piccola parte del nostro cervello, la GDA, che di fronte a un pericolo o a una minaccia innesca una serie di cambiamenti fisiologici che preparano il corpo a reagire. La respirazione e la frequenza cardiaca aumentano i muscoli, si preparano ad entrare in azione, i vasi sanguigni periferici si restringono, mentre quelli centrali si dilatano per fornire più ossigeno e nutrienti agli organi vitali nella sopravvivenza. Allo stesso tempo, l'ippocampo e la corteccia prefrontale aiutano il cervello ad interpretare la minaccia percepita e decidere che piano d'azione seguire. Spesso tutto questo succede in una frazione di secondo. Sarebbe solo normale considerare questo meccanismo com- così complesso e perfetto di ormoni e neuroni come un grande alleato dell'essere umano, un superpotere quasi che tutti possiamo usare a nostro beneficio. Invece la società in cui viviamo, incentrata sul sensazionalismo e sul giudizio dell'altro spesso condanna la paura e la rappresenta come un sentimento per i deboli e gli insicuri. Questa mentalità del più forte tra virgolette porta sempre più bambini e adulti a non avere fiducia in se stessi, a dover fare i conti con una bassa autostima ed etichettando il nobile sentimento della paura come il contrario di coraggio. Per far fronte a questa credenza sbagliata, i genitori devono cambiare il dialogo e iniziare a dare ai propri figli un messaggio diverso. Essere coraggiosi non significa non avere paura e chi ha paura non significa che non sia coraggioso c'è una frase che si sente dire spesso in inglese brave Isde dtm way Essere coraggiosi significa avere paura di qualcosa, ma farlo lo stesso. In realtà questo messaggio sbagliato è come dire a nostro figlio di non fidarsi dei propri istinti, che se qualcosa lo spaventa, deve andarci incontro di petto invece di usare la prudenza che gli dette al suo maestro interiore. Questo vale soprattutto per quei bambini che sono cauti di natura, che corrono meno rischi o più calcolati, che sembrano non lanciarsi in nuove avventure a cuor sereno, ma hanno bisogno di più tempo rispetto agli altri. La definizione di coraggioso nella società attuale è di una persona forte, sicura, di sé, intraprendente, avventurosa, audace, a volte incosciente. Ma anche chi è cauto, attento e calcola i rischi, mostra coraggio perché essere coraggiosi significa in primis onorare chi siamo la nostra vera natura, il nostro io più profondo non è semplice in una realtà in cui la paura è vista come un sentimento di cui vergognarsi, in cui le nostre azioni e reazioni influiscono sul livello di accettazione sociale e l'applauso, scaturisce spesso dall'atto estremo e dalla capacità di guardare in faccia il pericolo. La paura, invece, è un meccanismo di autodifesa positivo che nasconde una grandissima capacità del bambino di ascoltare i propri bisogni intrinseci e di onorare i propri limiti. Un bambino che non vuole continuare a guardare un cartone o a leggere un libro perché gli fa paura, sta dando voce alle sue emozioni e allineando ciò che gli detta il suo io interiore, con le azioni e le parole che proietta al di fuori. Con questo rifiuto che al genitore può sembrare insensato e ridicolo, il bambino sta dimostrando integrità, si sta ascoltando, sta sviluppando il proprio autocontrollo e imparando a difendersi dalla società. Il genitore che non lo asseconda e lo convince a finire di guardare o leggere perché non c'è nulla di cui avere paura. Manda il messaggio opposto che è meglio ascoltare gli altri piuttosto che se stessi e i propri istinti. Il genitore che sprona il figlio piccolo a fare qualcosa che non vuole dimentica anche che un bambino di quattro anni che cresce con l'idea di che essere coraggioso significhi superare la paura e agire, nonostante ciò che gli detta l'istinto, può diventare un adolescente che sale in macchina con gli amici, anche se ha paura, se non si sente sicuro e se pensa che sarebbe meglio non farlo. La cosa più importante che un genitore possa insegnare a suo figlio è avere fiducia in se stesso e nei propri istinti, per non lasciare che la società controlli le sue azioni. Il messaggio che vogliamo comunicare ai nostri figli è che il vero coraggio e riconoscere i propri limiti, ascoltare ciò che ci detta il nostro io, senza lasciare che il giudizio degli altri influisca sulle nostre decisioni, allineando così ciò che sentiamo dentro con le azioni e le parole che proiettiamo fuori. E questa era l'introduzione. Poi ci sono tantissimi esempi di vita quotidiana e poi continuiamo con un altro capitolino che si chiama La paura è un'amica e che continua appunto spiegando che in realtà la paura ci protegge e dovremmo onorare questo sentimento della paura se non avete questo libro e volete provare a trovarlo, non so se ci sono ancora copie, se ci saranno ristampe, ma vi lascio il link um dove potete acquistarlo sullo store online del corriere e con questo vi saluto e vi do appuntamento alla prossima settimana. E vi ricordo ovviamente che se vi manco mi trovate anche sul mio sito a casa mia su www punto la tela di carlotta punto com oppure su Instagram e Facebook come la tela di Carlotta blog. Buona giornata, buona serata e buonanotte a seconda di dove siete nel mondo. Ciao ciao
sto proseguendo l'ascolto dei tuoi podcast...vado un po' a caso seguendo un filo di interesse... Ho appena riascoltato per la terza volta questo...e per la terza volta ho pianto, un pianto dapprima stupito....perchè questa profonda, profondissima emozione nell'ascoltarti? Sicuro qualcosa è arrivato a parlare a me bambina e poi ancora mille luci si sono accese nel mio io di adulta. Questa luce è il mio grazie. Un grazie per te, perchè nutri la mia curiosità, il desiderio di scoprire e creare nuove lampadine da accendere, perchè solo tanta luce ci mostra veramente chi siamo e può incoraggiarci ad evolvere, a migliorarci. Solo tanta luce può farci essere sicuri nei passi dei nostri cambiamenti. Grazie per le mie lacrime, che mi parlano della capacità di commuovermi, di sentire, di emozionarmi.
E passando dal serio al faceto...ho appena detto a mio marito che per Natale desidero uno dei tuoi corsi perchè voglio educarMI a lungo termine ;)
Ti ho “scoperta”da poco e dai voce a tante riflessioni e sensazioni che a volte mi capita di provare quando decido di educare i miei figli reagendo in determintate situazioni in un modo diverso da quello “convenzionale”,o semplicemente da quello che si aspetterebbero la maggior parte delle persone che mi circondano (nonni in primis..).Non è facile non restare vittime del proprio retaggio culturale,ma sento che è la strada da percorrere, e se anche ci vorrà tempo e tanto lavoro su me stessa credo ne valga la pena.Per questo grazie davvero perché trovo sempre spunti molto interessanti ed esempi utilissimi nei tuoi podcast.
Per l’episodio in particolare lo condivido a pieno ma purtroppo non sempre riesco a lasciarli liberi,anche se sento di sbagliare..quando ad esempio chiamano i nonni che sono lontani,pur di non farli rimanere male o deluderli,forzo i miei figli a parlargli anche se non ne hanno voglia in quel momento(soprattutto il grande che ha 7 anni e non ha mai avuto particolare piacere a parlare tramite videochiamata o telefono..).E mi trovo a fargli anche la ramanzina se magari in quel momento sono stati di poche parole o non hanno voluto “raccontare qualcosa” ai nonni che non vivono la loro quotidianità..come se il non voler parlare con loro in quel momento significasse che gli vogliono meno bene,cosa che so assolutamente non essere vera, perchè hanno un legame fortissimo nonostante la lontananza..
Probabilmente dovrei semplicemente non forzarli, e lasciare la delusione del momento ai nonni ..ma non é facile.
Probabilmente voi che vivete lontani avrete una situazione simile,ti é mai capitato?Grazie se avrai modo di rispondere
Ti ringrazio comunque sempre tanto per tutto il lavoro che fai. Sto ascoltando tutto il podcast in ordine di pubblicazione e mi sono ripromessa di acquistare il tuo corso non appena sarò al passo con gli episodi.
Un abbraccio
Guarda, negli anni ho capito che possiamo davvero solo controllare noi stessi, quindi a volte possiamo prendere i nonni e spiegare la nostra preferenza (non nel momento, ma quando siamo tutti calmi, magari invitandoli a pranzo fuori senza ai bimbi), ma se poi non sono ricettivi, meglio lasciare andare e lavorare sui nostri bambini, dare loro gli strumenti di "difendersi".
Ps. Ho avuto un problema tecnico con i commenti, ma sto recuperando :-)
E sono contenta che ha fatto così. Ma dall'altra parte ci sarà il giorno che così non possiamo perché lavoriamo entrambi.
Ecco mi chiedo Gli creiamo confusione che a volte seguiamo ciò che preferisce e altre dobbiamo trovare un modo perché lui si trabuillizzi e entri?o non dovremmo riportarlo a casa mai indipendentemente se possiamo o meno stare con lui?
Ps. Il pensiero comune a chi l'ho raccontato è" adesso farà così ogni volta e non entra più. Perplessa.
Ho iniziato a seguire il tuo corso. E ti ringrazio ,sentivo da tempo l'esigenza di cambiare qualcosa e con te sto focalizzando il mio cambiamento. Grazie
Elisa
Mi dispiace che vi siate sentiti dire frasi del genere: non apprezzo la mentalità del "ora farà sempre così", che si rispecchia anche negli infiniti "non prenderlo in braccio quando piange perché lo vizi", "non dargli il seno quando si fa male perché si abitua ad averlo come consolazione"… è un po' come se dicessi a un adulto "non abbracciare il partner quando piange perché poi si abitua" o "se oggi non vuoi andare in palestra ti forzo perché se no poi non ci andrai mai più"… mi sembrano estremi e credo siano assolutamente controproducenti.
Ci sono momenti e momenti: dobbiamo educare secondo la persona che abbiamo davanti e imparare a seguire un po' di più l'istinto. Da qualche parte nella storia della genitorialità, mi sembra che i genitori si siano dimenticati di seguire i propri istinti e abbiano iniziato a vedere i bambini come persone da "addestrare" (come se ci fosse un manuale da seguire). Ci siamo dimenticati che siamo tutti persone in continua evoluzione: quello che noi adulti siamo oggi non è definitivo, tra qualche anno saremo persone diverse. Per i bambini potrei scrivere la stessa frase sostituendo "anno" con "giorno".
Come vedi non ho una risposta, solo pensieri a ragnatela che spero possano avviare riflessioni.