Preferiti dei bambini

Il valore del conflitto nella coppia

Scopriamone il (vero) significato e le sue funzioni.

Karen Taranto Mediatrice familiare
18 giugno 2024·2 commenti
È vero, siamo abituati a pensare ai conflitti come eventi negativi, sia quando si parla dei litigi all'interno della coppia, che (ancora di più) se si è anche genitori. Ma in realtà questo dipende dal modo in cui ci approcciamo al litigio e dall'accezione che gli attribuiamo: parto proprio da lì, dal significato della parola, per poi offrirvi una nuova visione sul conflitto.

Il significato del conflitto

La parola conflitto deriva dal latino «cum-fligere» e ha un duplice significato: nella forma intransitiva è traducibile come «scontro», mentre nella forma transitiva ha il significato di «andare incontro». Già dall’etimologia si ammette quindi la possibilità che il conflitto possa essere vissuto non solo come circostanza sfavorevole, bensì anche come opportunità.

Il primo significato rappresenta per molte persone un modello noto (mentre la seconda accezione del termine può risultare «illuminante»): pensiamo ad esempio ad alcune frasi tipiche della nostra infanzia: «Solo i bambini cattivi litigano, i bimbi bravi vanno d’accordo!», o «È necessario essere obbedienti e seguire quanto ci viene prescritto». 

A molti di noi è poi capitato di sperimentare questo punto di vista anche da adulti, ad esempio nel mondo del lavoro, quando si agisce secondo la logica insita nella forma mentis «perdi tu-vinco io» (o si subiscono scelte di comportamento di questo tipo).

Il conflitto nelle relazioni

Seguendo la logica che abbiamo appena descritto, il conflitto rappresenta la parte negativa di una relazione, in cui ci si scontra per avere la meglio finendo poi per attaccare o fuggire, e vivendo quel momento di scambio con sofferenza e spesso rabbia.

Quello che mi piacerebbe lasciare qui come messaggio è che invece il conflitto può essere una grande occasione, e pertanto andrebbe valorizzato e sostenuto, anche e soprattutto nella coppia! Per riuscirci, è necessario aprirci ad ulteriori «possibilità» del conflitto. Vorrei considerarne tre insieme. 

1. La differenziazione

La prima opportunità che possiamo cogliere dal conflitto è la differenziazione: attraverso il litigio possiamo esplorare la nostra unicità (che ci caratterizza) e allo stesso tempo provare a comprendere le caratteristiche (altrettanto uniche) dell'altra persona. 

Per rendere maggiormente comprensibile questa affermazione può essere utile pensare ai bambini e ai loro momenti di conflitto, ad esempio, con noi genitori. Quel momento per loro rappresenta un’occasione di scoperta dei confini e di cosa può accadere oltre i limiti di spazio e tempo, eventualmente rinegoziandoli, ma anche un modo per differenziarsi dal genitore. Come ci dice Carlotta nel capitolo X del libro «Cosa sarò da grande»: noi genitori siamo la «palestra emotiva» dei nostri figli.

Questa possibilità di differenziazione non viene persa da adulti, cambia però il modo in cui viene agita ed interpretata: «Guarda questo, deve sempre rompere le scatole!», oppure: «Ma ti pare possibile che non ti stia mai bene niente?». Queste sono frasi tipiche che si riferiscono alla percezione che da adulti spesso abbiamo rispetto a chi si differenzia da noi.

Inoltre, se da un lato il conflitto è utile per il meccanismo della differenziazione, dall’altro agisce rispetto all'antitesi di questa, ovvero l’appartenenza. Pensa ad esempio all’importanza delle alleanze tra pari per gli adolescenti: confliggere vuol dire al tempo stesso differenziarsi da chi «ha valori diversi dai nostri» e frequentare invece compagni simili per pensieri e affinità, dando soddisfazione al bisogno di appartenenza e di identità, tipico di questa fascia di età. 

2. L'autoregolazione

Altra funzione che il conflitto ha è l’autoregolazione, che rappresenta la possibilità di realizzare che non esisto solo io con i miei bisogni e punti di vista, ma che possono esistere anche i bisogni dell’altro e che questi due aspetti possono anche non coincidere (ad esempio tra partner con riferimento alla gestione dei figli). A volte, può essere determinante il ruolo del mediatore, che (in quanto facilitatore della comunicazione) agisce proprio su questo segmento della relazione: aiuta le parti coinvolte nel conflitto a dare visibilità ai bisogni inespressi o latenti, creando uno spazio per portarli alla luce e sollecitando consapevolezza (proprio come facciamo noi genitori con i nostri figli).

Facciamo un esempio in cui uno dice all’altro: «Sei sempre col telefono in mano!». Questa espressione esprime quella che tecnicamente si definirebbe «posizione»: mostra cioè un bisogno inespresso in maniera indiretta. Proviamo a trasformare la frase, formulandola in modo da mettere in evidenza il bisogno della persona: «Mi piacerebbe passare un po' più tempo insieme senza distrazioni, ho bisogno di essere ascoltato e considerato!». Facile? Chiaramente no, ma sapere che ci sono queste possibilità quando siamo in un conflitto cambia la percezione che abbiamo di questo momento e il nostro modo di porci all’interno della relazione con l’altro (e con noi stessi).

3. La scoperta di sé

Un'ultima utile funzione che il conflitto offre (e a mio avviso la più importante) è la scoperta di sé. Siamo abituati a proiettare la responsabilità delle nostre emozioni all’esterno di noi, soprattutto quelle più difficili da gestire, come la rabbia e la frustrazione, ignorando la possibilità che ciò che ci attiva e risuona in qualche modo già ci appartiene: l’altra persona si limita a sollecitare la «ferita emozionale» che ci portiamo dentro (probabilmente dalla nostra infanzia).

Se ad esempio in una conversazione l’altro mi risultasse indisponente perché non mi lascia parlare o perché i suoi toni mi infastidiscono, anziché fermarmi a queste prime considerazioni, potrei proseguire la riflessione domandandomi: «Cosa nello specifico mi ha turbato?» (ad esempio non aver avuto la possibilità di dire la mia, o non essermi sentita vista e riconosciuta nei miei bisogni). Potrei proseguire la riflessione chiedendomi se questo accade in specifiche situazioni, o se questo fastidio possa essere collegato a qualcosa in particolare della mia vita.

In questo modo, impariamo a praticare l’auto-osservazione, uno strumento potentissimo con cui possiamo accorgerci che ciò che vediamo e troviamo nel mondo è solo uno specchio: il nostro confliggente non è un nemico, ma una possibilità di individuare gli automatismi che mettiamo inconsapevolmente in atto e quali sono le reali motivazioni da cui nascono i nostri conflitti.

Ti lascio con quest'ultima riflessione: possiamo modificare solo ciò che vediamo (mentre ciò di cui non ci rendiamo conto possiamo solo subirlo). Questo significa che provare a cambiare mentalità sui nostri scontri è il primo (e fondamentale) passo per dare a questi momenti la possibilità di evolvere, diventando «andare incontro». 

Scritto da

Karen Taranto – Mediatrice familiare
Sono mediatrice familiare specializzata nella gestione dei conflitti nelle relazioni di coppia. Proponendo strumenti pratici da utilizzare nella vita quotidiana, aiuto i genitori a trasformare i loro momenti di difficoltà in opportunità di confronto con l’altro, in cui poter comunicare il proprio stato d’animo e i propri bisogni in modo efficace e rispettoso. Sono anche mamma di due bambini e il loro arrivo mi ha permesso di toccare con mano grandi gioie, ma anche le difficoltà e le fatiche di essere al contempo genitore e partner.

Parliamone

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Ma come fare se l'altro nella coppia non vuole lavorare ad una "gestione del conflitto"? Se per lui/lei il conflitto è solo una cosa da evitare o vincere ricorrendo anche a atteggiamenti "aggressivi" o a frasi mirate solo ed esclusivamente a ferire? Come fare capire il valore della gestione?
Ciao Tatiana, grazie per la domanda, mi dai occasione per condividere la risposta che può tornare utile anche per altri!

Quando pensiamo al conflitto, molto spesso ci focalizziamo su come l’altro si comporta o su tutta una serie di caratteristiche che comunque appartengono a lui.

La premessa da cui partire non risiede all’esterno, bensì dentro di noi e cioè capire il proprio modo di stare nel conflitto e soprattutto come mi trovo in una situazione in cui l’altro evita il litigio o abbia comportamenti aggressivi.

Non possiamo gestire noi il conflitto anche per l’altro, le trasformazioni debbono partire da ognuno e se ciò non avviene, sarà interessante porsi delle domande che ci aiuteranno a capire dove stiamo andando e dove vogliamo arrivare☺️

Spero di averti risposto, in ogni caso ti ricordo che puoi usufruire del servizio 1:1 che trovi qui ne La Tela per approfondire su specifici aspetti!

Ti aspetto🌷
Karen 
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