Preferiti dei bambini

10 concetti per parlare di genocidio in famiglia

Una conversazione «difficile» e necessaria che ha tanti precursori nella quotidianità.

Carlotta Cerri Fondatrice de La Tela
28 novembre 2024
Ho deciso di scrivere questo post come «allegato» dell'episodio di «Educare con calma» che ho registrato insieme a
Najwa Saady
e
Teresa Potenza
su come avviare la conversazione del genocidio. Se arrivi prima qui, puoi ascoltarlo qui:

Podcast
Genocidio: come avviamo la conversazione? | con Teresa Potenza e Najwa Saady
Episodio 197


Qui ci tengo a riassumere 10 concetti importanti, di cui i primi 2 sono la base da cui ti chiedo di partire:

  1. Le conversazioni «difficili» lo sono solo finché non ci abituiamo ad averle;
  2. Spesso pensiamo che le conversazioni «difficili» spaventino bambinǝ: in realtà, si ha molta più paura di ciò che non si conosce. La conoscenza è un antidoto della paura;

3. Filtri e onestà 

Parlare di cose «difficili» in famiglia ci permette di essere i filtri di notizie scomode da processare e trasmette a bambinǝ il messaggio che non sono solǝ a processarle, che possono sempre contare su di noi e sulla nostra onestà. Non esiste un’età giusta o sbagliata per parlare di genocidio. Ogni famiglia ha il proprio ritmo. Alcuni bambini faranno più domande, alcuni meno (a seconda anche di come avete risposto alle loro domande in passato). Spesso le domande arriveranno da loro e il nostro compito è rispondere con onestà;

4. Normalizzare le parole

Normalizzare le parole e chiamare le cose con il loro nome è importante. Aiuta ad affrontare le conversazioni «difficili» e a parlare senza tabù: avete notato per quanto tempo nessuno ha chiamato il genocidio corrente con il suo nome?

5. Considerare un approccio attivo

La conversazione sul genocidio può arrivare dalle domande di bambiniǝ – e allora rispondiamo con onestà! – o possiamo avviarla attivamente: ci sono conversazioni (come il razzismo, per esempio) che, nel mondo privilegiato e protetto in cui viviamo, spesso dobbiamo scegliere di avviare attivamente.

Una delle prime cose che ricordo nei miei studi sull'antirazzismo, fu questa frase di Brittany Hawthorne, autrice del libro «How to raise antiracist children»: «Quando non racconti ai tuoi figli che cos'è il razzismo, sei parte del problema; già solo il poter scegliere di non avere quella conversazione in famiglia riflette il tuo privilegio bianco». Allora questa frase mi stupì (e mi ferì un po'), ma oggi so che è una verità scomoda.

6. Come avviare la conversazione attivamente? 

Come avviare la conversazione attivamente dipende da molti fattori individuali per ogni persona e famiglia. Alcuni importanti sono: 
  1. l'età dei tuoi figli e delle tue figlie e il tuo osservarli (a che livello di profondità posso andare?); 
  2. la tua preparazione (come mi sto (in)formando per affrontarla?); 
  3. la loro esposizione a notizie di cronaca (quanto sta processando miǝ figliǝ da solǝ, di cui io non sono al corrente?); 
  4. le connessioni personali che hai con quella conversazione (hai famiglia in quella parte di mondo?). 
Tutte queste risposte sono intime, personali e influiscono sulla tua scelta di come e quando parlare di genocidio con i tuoi figli;

7. Le riflessioni-porta 

La conversazione sul genocidio può/deve avere precursori o riflessioni-porta (perché aprono la conversazione). Non possiamo parlare di genocidio senza parlare anche di razzismo. Nel quotidiano esistono tante riflessioni-porta, come le letture che scegliamo di fare in famiglia o anche «solo» la scelta del linguaggio. 

Per esempio, quando colorate, se vi chiedono di usare il «color pelle» potete riflettere sul fatto che ci sono tanti color pelle perché ci sono tanti colori di pelle. «Come la pelle di chi? Mia? Tua? Di Kenzy? Di Coraline?»;

8. Le riflessioni-porta che non ti aspetti

Le riflessioni-porta non sono per forza relazionate a temi come il genocidio, la guerra e il razzismo. Anche Babbo Natale può essere una riflessione-porta! Se crediamo a Babbo Natale, per esempio, allo stesso tempo possiamo anche parlare di come «Non tutte le famiglie credono a Babbo Natale». Anche così stiamo educandoli(ci) alla tolleranza della diversità, che è un concetto precursore per parlare di razzismo. Questo tipo di opportunità sono ovunque nel nostro quotidiano;

9. Rassicurare e concentrarsi sugli aiutanti

Ci sono alcuni aspetti importanti di questa conversazione da non dimenticare: 
  1. Rassicurare, rispondendo alla domanda «Noi siamo al sicuro?»: noi, fortunatamente, abbiamo il privilegio di poter utilizzare una mappa e mostrare che il conflitto è lontano;
  2. Trasformare le emozioni in azione e chiederci: che cosa possiamo fare noi? Che cosa posso fare io? Ne parlo un po' di più al punto successivo e nell'episodio del podcast;
  3. Concentrarci su chi aiuta: Mr. Rogers li chiamava «aiutanti» e scoprire le loro storie può regalare ispirazione e speranza. Il nostro gioco per scoprire gli aiutanti della storia può essere un motore della conversazione:


10. L'educazione è attivismo

Quando dedichiamo tempo a queste conversazioni, quando spieghiamo il genocidio, il razzismo, o parliamo di pace e di diversità, non stiamo solo educando: stiamo facendo attivismo: stiamo creando le basi per una generazione che speriamo faccia meglio di noi. L'educazione è una forma di attivismo potentissima e uno strumento altrettanto potente per il cambiamento sociale.

Un copione per spiegare il genocidio

Spesso, per avviare la conversazione, si può partire da una domanda «semplice»:
«Hai mai sentito parlare di genocidio? Sai che cosa significa?» o «Ultimamente è possibile che tu abbia sentito la parola genocidio: sai che cos'è?».

Ecco come io e Alex abbiamo spiegato il genocidio ai nostri figli la prima volta (7 e 9 anni). Loro avevano già familiarità con il concetto di morte e guerra (anche con il concetto di razzismo, ma in quel momento abbiamo preferito non complicare la spiegazione): 

«Il genocidio è quando un gruppo di persone decide di uccidere o desidera uccidere, attraverso la guerra, tutte le persone di un altro gruppo, solo perché le persone di quell’altro gruppo sono diverse da loro. Possono essere diverse per il colore della pelle, per la religione o per altre cose. Ma di solito non ha niente a che fare con qualcosa che hanno fatto, ma solo con chi sono. È una cosa terribile e ingiusta che è successa molte volte nella storia e purtroppo succede ancora oggi in alcune parti del mondo. E sta succedendo proprio ora in Palestina».

Scritto da

Carlotta Cerri – Fondatrice de La Tela
Sono la fondatrice de La Tela, creatrice del podcast Educare con calma e dal 2019 viaggio a tempo pieno con la mia famiglia Alex, Oliver ed Emily. Mi ritengo una visionaria pessimista: so come voglio cambiare l’educazione e che genitore ho scelto di essere, ma la maggior parte dei giorni mi sembra di scalare pareti di vetro. Ma forse proprio per questo so come aiutarti quando mi scrivi: perché ci passo anche io per quel disagio e ti dico le verità scomode con gentilezza e senza giudizio.

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